pedicinibardi.jpg

 

di Rosa Santarsiero

 

L’emergenza sanitaria legata al Coronavirus rischia di avere forti ricadute sul piano economico-finanziario dei Paesi più colpiti dal dilagare impetuoso dell’epidemia. I giorni tra le mura domestiche trascorrono scanditi dalle notizie contraddittorie sui cosiddetti Coronabond, o Eurobond, sull’atteggiamento dell’Italia e su quello dell’Unione Europea. Ne abbiamo parlato, nel corso di un’intervista telefonica, con l’onorevole pentastellato Piernicola Pedicini, europarlamentare e membro della Commissione europea per i problemi economici e monetari che, da Bruxelles, segue l’evolversi della situazione italiana e, in particolare, lucana.

D: Europa. Su questo stesso numero, l’ex parlamentare socialista Nicola Savino afferma che -sì, è vero, i tedeschi nei nostri confronti stanno adottando una linea dura- ma noi dobbiamo comunque riconoscere le nostre responsabilità nella maturazione del debito, causato da decenni di politiche clientelari e da una perenne campagna elettorale.

R: Non concordo affatto con questa spiegazione o lettura storica del debito pubblico italiano. È vero, ci sono delle responsabilità specifiche legate alla mancanza di una buona politica a favore della riduzione del debito, ma ciò dipende non tanto da fattori politici, bensì da vere e proprie colpe attribuibili alla Banca d’Italia e alle banche private, tanto è vero che entrambe hanno trovato grandi interessi nel lasciare le cose così come stanno. Quando sale lo Spread e aumenta il debito pubblico italiano, qualcun altro ci guadagna e questo qualcuno è proprio il sistema bancario.

Agli occhi dei tedeschi, al di là delle ipotesi che sono state prospettate come gli Eurobond o i Coronabond, che io stesso contesto, accettare soluzioni di questo tipo significa scardinare dei veri e propri principi culturali. Nei tedeschi, infatti, da sempre è diffusa l’idea che gli italiani siano degli spendaccioni, per non dire puttanieri, come in passato siamo stati definiti da persone con ruoli politici molto importanti.

Alla base di tutto c’è, però, un passaggio fondamentale. Il Bund tedesco viene venduto sul mercato a tassi negativi, ciò significa che quando la Germania emette titoli di Stato e chiede in prestito del denaro sul mercato guadagna cifre sostanziose, parliamo di miliardi ogni mese. L’Italia, invece, in virtù dello Spread alto, ossia di un maggiore rischio di non ripianare il debito, paga degli interessi considerevoli. In sostanza, è un meccanismo che, di fatto, penalizza chi ha accumulato debito.

La versione ufficiale, almeno per quanto riguarda il nostro Paese, è che gli italiani hanno sempre vissuto al di sopra delle proprie possibilità, ma non è così, perché dal 1991 l’Italia fa registrare un avanzo primario. In altri termini, gli italiani pagano tasse che superano la spesa pubblica di circa trenta miliardi l’anno. Ciò significa che il nostro Paese ha in cambio, rispetto a ciò che versa come tasse, meno servizi di ciò che gli spetterebbe: minore sanità e scarse infrastrutture, ad esempio, e ciò è facilmente visibile al Sud.

Alla luce di queste premesse, quindi, è innegabile asserire che gli italiani forse sono gli unici ad avere una politica fiscale virtuosa e a fare uno sforzo considerevole per il pareggio di bilancio, rispetto a qualsiasi altro Stato europeo. Il meccanismo che ci incastra è legato agli interessi da pagare sul debito pubblico, un sistema che è stato introdotto proprio dai Paesi del Nord Europa. In assenza di politici italiani avveduti e forti al tavolo delle trattative, hanno avuto gioco facile. Ecco perché i paesi del Nord non vogliono condividere i rischi, perché dovrebbero mettere i loro titoli di Stato insieme ai nostri per non guadagnarci più? È solo una questione di egoismo, pertanto bisogna cambiare le regole.

D: Lei ha twittato: “Prima o poi si arriverà all’individuazione di farmaci per la cura o la prevenzione da #Covid, ma i Paesi non dovranno competere per dotarsene per primi e in maniera esclusiva”. Chiarisca meglio.

R: Abbiamo lavorato a lungo sulla cosiddetta HTA, o Health Technology Assessment, vale a dire una direttiva che si occupa della valutazione delle tecnologie sanitarie, nell’ambito di una protezione civile europea. L’Unione Europea non può certo legiferare sulla Sanità, poiché ciò spetta ai singoli Stati, tuttavia lo può fare sul tema della salute, dunque tutta la materia che riguarda la prevenzione poteva essere strutturata in maniera condivisa e coordinata. Se ciò fosse accaduto davvero, oggi avremmo potuto beneficiare di una struttura centrale capace di effettuare delle valutazioni su farmaci e presidi medici, riducendo i costi per tutti gli Stati e armonizzando le varie procedure. Immaginiamo cosa una struttura di questo tipo avrebbe potuto fare in un momento di crisi come questo, tuttavia hanno prevalso gli interessi di parte. L’Italia è stata meno egoista, poiché ha messo a disposizione le proprie conoscenze e le proprie strutture.

Qualora si dovesse giungere alla scoperta di un farmaco, più che di un vaccino, bisogna evitare situazioni di egoismo. Le faccio un esempio pratico. Siamo riusciti a far autorizzare dall’Aifa il Plaquenil, un antimalarico efficace durante la prima fase del virus, ma appena si è diffusa la notizia è scomparso dal mercato e riuscire a trovarlo ora è impossibile. Ancora una volta, quindi, si registrano forme di egoismo che impediscono la collaborazione tra i singoli Sati. L’Unione Europea, dunque, si rivela ancora una volta per quello che è: una non unione.

D: Come giudica la politica di contenimento del contagio finora operata in Basilicata? Bardi in effetti sembra essere stato il primo a programmare interventi diretti in favore della povertà, e anche il primo a pensare di “isolare” la Regione, quando ancora il contagio non era poi così diffuso.

R: Ho seguito le evoluzioni della regione Basilicata con attenzione. Da sempre opero nel contesto sanitario, dunque il mio occhio è particolarmente attento.

Dal punto di vista dell’ordine pubblico, la risposta della Regione Basilicata e, dunque, di Bardi è stata decisa. Si vede che è quello il suo campo, d’altronde è un generale, se non sbaglio.

Bardi ha elaborato una buona lettura del rischio, mettendo in piedi una risposta commisurata allo stesso. Dal punto di vista dell’ordine pubblico, dunque, lo promuovo.

Per ciò che concerne la gestione sanitaria, invece, Bardi ha toppato. Ci sono stati dei ritardi nella diffusione dei tamponi e nella fornitura dei dispositivi di sicurezza, specialmente al personale sanitario. Mi è capitato di parlare con alcuni medici lucani e, in particolare, con quelli di famiglia che lamentano di essere stati lasciati soli, con il rischio di infettarsi e diventare un nuovo focolaio, girando di casa in casa. Mi dispiace, dunque, ma la risposta sanitaria di Bardi non è stata all’altezza rispetto a quella varata per l’ordine pubblico

D: Il bonus di 600 euro: “Dall’una di notte alle 8.30 circa, abbiamo ricevuto 300mila domande regolari. Adesso stiamo ricevendo 100 domande al secondo. Una cosa mai vista sui sistemi dell’Inps che stanno reggendo, sebbene gli intasamenti siano inevitabili con questi numeri”. È quanto ha affermato i 1 aprile scorso il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, all’ANSA. Un suo commento.

R: Siamo di fronte ad una situazione eccezionale da tutti i punti di vista, dunque le varie misure a sostegno dei cittadini passano attraverso sistemi e piattaforme pensati per situazioni ordinarie. L’eccesso di richieste somiglia un po’ alla reazione scomposta delle masse che si precipitano al supermercato per portarsi a casa di tutto, nel timore che gli scaffali il giorno dopo si presentino vuoti. Bisognava accompagnare questa misura con una maggiore campagna informativa del tipo: non vi accalcate ce n’è per tutti! Non è che il bonus è riservato solo ai primi che presentano domanda. Oggi il problema principale è quello della liquidità, e noi a livello europeo stiamo lavorando proprio su questo. Poi, è ovvio, spetta all’Italia creare un meccanismo di distribuzione a favore di chi ne ha più bisogno.

D: Com’è la vita di un europarlamentare in questo periodo? Quali le precauzioni adottate? Vi è stato somministrato il tampone?

R: Io sono a casa da parecchio. Sono un fisico medico, dunque ho preso delle precauzioni già da tempo per la mia famiglia e i miei collaboratori, conosco bene le dinamiche. Vivo in Belgio ormai da sei anni e ho avuto modo di conoscerlo bene sia dal punto di vista sanitario sia da quello organizzativo. Avendo dei figli, mi è capitato di recarmi qualche volta in uno degli ospedali della città e di rendermi conto della superficialità dei belgi, anche se magari non te lo aspetti. Sono stati anche molto negazionisti rispetto al tema del Covid, pensando principalmente alla loro economia, mentre adesso si ritrovano con numeri allarmanti.

D: Come trascorre le sue giornate domestiche?

R: Continuiamo a lavorare anche più di prima, da casa e perennemente connessi, anche perché la salute e l’economia sono due temi che mi stanno particolarmente a cuore. Faccio parte della Commissione economica, quindi siamo sempre impegnati.

Il tempo in casa, però, offre anche la possibilità di vivere la famiglia: faccio i compiti insieme ai miei figli, sistemo casa e scambio qualche parola in più con mia moglie. Restiamo a casa!