paesePODOLICO

La comicità, come anche la satira, nasce dall’osservazione attenta e disincantata del quotidiano, per poi “riassumerla” con arguzia e applicare la “riduzione a misura d’uomo” di quei “big” o “potenti” che –in virtù del loro ruolo- ci appaiono più grandi e grossi di quanto siano nella realtà.

E’ questa la “ricetta” del cabarettista potentino Antonio Sabia, in quanto membro del trio comico “La Faina” o in solitaria, nelle vesti di “Gianluca U’ Sfiammat”, personaggio che sarà protagonista del suo prossimo spettacolo, “Un Paese Podolico”, che si terrà questo fi ne settimana al Cineteatro don Bosco di Potenza (sabato 16 dalle 20 e 30 alle 22 e 30 e domenica 17 dalle 18.00 alle 20.00). Benché lo show non tratti solo di satira politica, pregno com’è di comicità “pura”, per Sabia , intervenuto nel corso de “I Viaggi di Gulliver” (programma condotto da Walter De Stradis su Radio Tour) «Questo periodo che sta vivendo la Basilicata può segnare una svolta e quindi tutti sono bravissimi a parlare di politica, tutti usano la tecnologia moderna per condividere. Ma è solo un sentito dire, come quando mio nonno esordiva con “M’hann ditt’ che…”». Si diceva dell’osservazione della realtà: «Il personaggio nasce qualche anno fa, prendendo a esempio la compulsività dei Potentini e dei Lucani in genere. A un certo punto, infatti, ci siamo “risvegliati” e abbiamo immaginato di essere un paese europeo uguale agli altri, un posto che non deve chiedere niente a nessuno. Noi abbiamo le nostre virtù e i nostri difetti, siamo piacevoli proprio per queste cose e per questo ci siamo inventati uno slang tutto nostro. “Gianluca U ‘Sfi ammat” nasce proprio per questa ondata di “potentinità”, che sgorga dal riconoscerci una storia, che nessuno ci ha riconosciuto fi no ad oggi. Dieci/quindici anni fa, ciò che era una vergogna, quindi le nostre tradizioni, all’improvviso è diventata una moda incredibile che se non la cavalchi sei zero. Ma –attenzione- dipende dall’ambito di applicazione. Per esempio, se la tarantella la metti a Picerno nelle sale da matrimonio spostando sedie e tavoli, è una cosa “tanguozza”, ma se la metti in una festa organizzata da un politico fi go, si tratterà della “riscoperta delle tradizioni”…siccome lo dice lui, si tratta di cultura! Ma se te la senti in macchina, porti il cappello e hai 70 anni, sei anche tu un “tanguozzo”!» Ma qual è il rapporto del Lucano con la politica? «Da sottomesso. Noi a casa, sin da piccoli, viviamo col bavaglio: cioè se un bimbo vede il vicino di casa che butta la spazzatura fuori dal bidone, i suoi prontamente lo ammoniscono “Tu non hai visto niente!”. Se quello stesso bambino torna a casa e riferisce che la maestra magari si addormenta sulla cattedra, la risposta è “Fatti i fatti tuoi. Io tuo dovere è studiare e basta!”. Queste sono cose che hanno fatto parte anche della mia infanzia. Al pari di quel consigliere comunale che venne ad abitare a Rossellino, il mio quartiere, e che faceva buttare la sua spazzatura a noi ragazzini del rione! E a noi ci toccava farci due chilometri a piedi per gettare LA SUA immondizia: eravamo avanti anni luce, la raccolta “porta a porta” l’abbiamo inventata noi a Rossellino! Questo per dire che noi non andiamo mai contro i poteri forti, ci “costruiamo” dei giganti e ci vediamo sempre più piccoli di loro, ma non immaginiamo mai che magari possa essere l’esatto contrario. Da qui nasce la situazione comica, la gag e la compulsività legata ad atteggiamenti strereotipati». Come quella volta che, nel corso di una presentazione del Potenza Calcio con il Sindaco di allora, «Un signore in tuta acetata e mocassini attraversò tutto l’auditorium trascinando rumorosamente, e maliziosamente “al rallenty”, una sedia, per poi piazzarsi seduto davanti al Primo Cittadino e urlare: «Basta co’ ‘ste puttanate. Quando mettiamo mani a Bucaletto?». Boato in platea! Invitato però a non fuorviare il discorso dallo sport, replicò ancora più arrabbiato: “Cosaaa? Io mi sono comprato la Bravo Milledue e sotto casa mia, per colpa di due fuoss, i semiasse si sono spaccati tutti e due. Ora, o me li paghi tu, o t’appicc’ tutt’ cos’!”. Fu trascinato via “a braccio”»