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Nella giornata di lunedì 8 ottobre il Caffè Teseo, l’Ordine regionale degli Psicologi della Basilicata e l’Unione Italiana dei ciechi e ipovedenti (sede di Potenza) hanno tenuto presso il DSM ASP Centro di Salute Mentale di Potenza il seminario dibattito dal titolo: “Usa il tuo tempo... ascoltiamoci”. (Giornata Nazionale della Psicologia).

Al seminario hanno preso parte il dottor Giovanni Razza (Vicepresidente dell’Ordine degli Psicologi della Basilicata e dirigente psicologo presso il centro di salute mentale di Potenza), il dottor Alfonso Domenico Guttieri (psicologo specializzando in psicoterapia psicoanalitica) e la dottoressa Maria Buoncristiano (consigliere nazionale unione italiana dei ciechi e ipovedenti) e al pianoforte il maestro Ferdinando Pignotti. Il seminario dibattito ha avuto l’obiettivo di riflettere sul tema dell’ascolto, tema quanto mai necessario nella società odierna. Troppo spesso udiamo ma non ascoltiamo, al contrario c'è bisogno di tempo per comprendere le nostre emozioni, per entrare nel nostro mondo interno e far spazio dentro di sè per far spazio all’altro. Si è riflettuto sulla necessità di ascoltare l’altro sia nei contesti clinici, sia nei contesti di vita quotidiana. L’altro è un amico da conoscere, l’altro è detentore di una propria soggettività, di un proprio mondo interno, di peculiari emozioni. L’altro è possibile conoscerlo solo ascoltando empaticamente in una modalità ricettiva. L’ascolto risulta essere lo strumento principe per lo psicologo, mediante un’attenzione fluttuante, e una visione dell’individuo inserito in un sistema che contiene in sé componenti biologiche psicologiche e sociali. Solo cosi è possibile comprendere l’altro, e restituirgli quella che è la sua realtà; realtà che contiene in sé una vita psichica, dotata di senso, solo se rapportata al singolo individuo. In questo modo, l’altro viene riconosciuto nella sua soggettività, e considerato non un malato noto, ma una un individuo tra individui che come tutti pensa prova e sente al pari degli altri. Superando un’ottica prevalentemente medica del disagio, ma partendo da essa, interconnettendola con una visione biologica psicologica e sociale possiamo dare senso all’altro e alla sua realtà, facendogli sperimentare quella sensazione di unicità ma al tempo stesso di vicinanza, che funge non soltanto da sostegno e da contenimento,ma restituisce alla persona dignità di essere, di esistere, di provare. È solo se lavoriamo con questi presupposti che possiamo essere davvero terapeutici per l’altro, e dare risposte peculiari e funzionali per una vera e sensata riabilitazione psicosociale, non intesa come terapia occupazionale bensì un agire terapeutico che mediante un affiancamento competente costruisce percorsi di crescita sull’identità personale.