editoriale2107

Cari Contro-Lettori,

«Tieni, ti regalo Firenze, te ne faccio un tappeto». In una spassosissima scena di “Amici miei Atto III” (di Nanni Loy), un ormai attempato e imbolsito architetto Melandri (Gastone Moschin) è intento a conquistare il cuore di una misteriosa e affascinante non più giovane signora: seppur in clamoroso debito di ossigeno, sale allora in sua compagnia fi no in cima al terrazzo del lussuoso ospizio in cui risiedono, e -scimmiottando il D’Annunzio- la corteggia omaggiandola dell’incantevole panorama. Mentre l’attore Ulderico Pesce –a favor di obiettivo ci mostrava un panorama non meno spettacolare, dal belvedere della sua Rivello, non potevamo fare a meno di pensare a quella scena. La bellissima Basilicata è un tappeto che (più di) qualcuno ha voluto regalarsi, trasformando i suoi abitanti in zerbini di benvenuto, accucciati come cani davanti alle porte d’ingresso del Palazzo. L’attore e regista rivellese –uno che col teatro racconta le cose che non vanno di questa Terra (Fiat, petrolio, rifiuti, scorie radioattive…), è consapevole che la Basilicata vive un momento antropologico unico, una contraddizione in termini vivente e pulsante che va raccontata a coloro che non se ne accorgono (e sono tanti); ma sa altrettanto bene che a sollevare la bocca dal fi ero pasto non è soltanto un cane a sei zampe (o magari una mitica fenice particolarmente vorace e velenosa), ma un cane che si morde la coda. Siamo tutti liberi e incastrati. E lo spiega bene nell’intervista a pranzo concessaci, chiosando, tuttavia, «Ora è chiaro che noi non possiamo vivere senza petrolio e royalties, ma ciò non significa morire uno dopo l’altro senza dire neanche mezza parola». «Tieni, ti regalo la Basilicata, te ne faccio un tappeto»: avrebbe detto uno come il Vate. Vatelappesca se sarà veramente così.

 

Walter De Stradis