editoriale200118

Cari Contro-Lettori,

una gustosissima fragola di cui tutti parlano come “orgoglio lucano”, ma che in realtà è un prodotto spagnolo che porta soldi a imprenditori spagnoli;un grano - quello sì,nato lucano - sui cui qualcuno ha voluto mettere il “cappello”rendendo la vita piuttosto complicata alle attività di casa nostra;una politica locale “spallata”che si arrovella, ingarbuglia,arrotola e incarta su aridi discorsi di “tecnicismo”, “efficientamento” e filiera”;una società civile che si vergogna dell’agricoltura e dei moderni contadini come fossero un parente scomodo dell’era Leviana, mentre tutti gli altri (quelli che fanno soldi), speculano allegramente all’insaputa di tutti noi (o quasi).Insomma, il buon (mica tanto)Gianni Fabbris, noto e inquieto sindacalista lucano (Altragricoltura) che abbiamo intervistato a pranzo, ha cercato dispiegarci tutte le cose di cui sopra con linguaggio forbito, tecnico e appassionato. Ne leggerete delle belle. Ovviamente, è doveroso dirlo, si tratta del suo punto di vista(e siamo pronti a ospitare quanti la dovessero pensare diversamente o sentissero il bisogno di rettificare), ma su tutto l’articolato discorso sembravano aleggiare due grossi motti popolari, di sempre verde saggezza “contadina”,che ben potrebbero sintetizzare le denunce fatte dal sindacalista santarcangiolese. Il primo è «Al villan non far sapere, quant’è buono il cacio con le pere» (se a “cacio”e a “pere” sostituite “soldi” e“potere” la risultanza è equivalente e fa pure rima).Il secondo è «Il cetriolo va sempre in –censura- all’ortolano» (e questo non ha certo bisogno di traduzioni).Che dire, «Leggete e discutetene tutti. Questo è il mio sangue», direbbe uno qualsiasi degli imprenditori agricoli lucani. E che la cosa non suoni come una bestemmia. Perché non lo è affatto.
Walter De Stradis