cardone_e_de_stradis.jpg

 CLIKKA SULLA FOTO PER GUARDARE IL VIDEO ANDATO IN ONDA SU LUCANIA TV

 

 

 

di Walter De Stradis

 

 

 

Se non fosse per la pipa alla Maigret e gli occhiali, il giornalista e critico d’arte Rino Cardone, coi suoi capelli (e barba) folti e lunghissimi, sembrerebbe il protagonista di un romanzo di Emilio Salgari. Con lui, già volto noto del TGR Basilicata, abbiamo parlato della (estenuante?) ricerca del Bello, a Potenza e in Basilicata.

d: Come giustifica la sua esistenza?

r: Diciamo che la ricerca della Bellezza è un po’ il tratto d’unione di tutti i miei interessi: l’arte, il volontariato, ma anche la comunicazione e l’informazione. In quest’ultimo campo bisogna attenersi alla verità e alla giustizia; nel settore dell’arte è un discorso di armonia, equilibrio, simmetria; nel volontariato bisogna tenere da conto le persone che soffrono e che hanno bisogno, e a cui bisogna tendere la mano.

d: Lei è stato un volto noto del TGR locale, immagino che la gente ancora la fermi e le sottoponga delle cose…

r: Guardi, la maggior parte riconosce la voce, quella voce che hanno ascoltato nel giornale radio. Altre volte capita che ti riconoscano all’interno dei “mondi” di cui ti sei occupato, come l’arte, ma anche l’agricoltura…

d: Esiste il Bello “oggettivo”, o vale sempre e comunque il detto “è bello solo ciò che piace”?

r: C’è sempre una lettura soggettiva, nella pittura così come nella scultura e nella fotografia…ma quella valutazione non nasce “a caso”, bensì dall’esperienza, nonché dal rispetto di determinati codici estetici e stilistici. Se questi sono assenti, allora parliamo di opere oleografiche.

d: C’è chi sostiene che è più certa l’esistenza del Brutto “oggettivo”.

r: Beh, sì, questo risale alla visione su vuoi un po’ “esistenzialista” del nostro Novecento, quella di Sartre e Camus, una lettura decadente legata a un’epoca decadente, che sembra morire, ma che poi inevitabilmente risorge, un po’ come l’Araba Fenice.

d: A proposito, a microfoni spenti mi diceva che lei è devoto a una fede particolare…

r: …sì, sono di fede Bahá’í. E proprio tornando all’Araba Fenice, vorrei fare un piccolo inciso. Mia figlia Sefora è sepolta nel museo monumentale di Potenza, in uno spazio ancora impropriamente definito, con tanto di insegna, “campo dei non credenti”: un vecchio retaggio dei primi del Novecento (rimasto lì senza che nessuno se ne sia accorto), quando il “campo santo” era tale, in quanto benedetto dalla chiesa cattolica; mentre per tutti gli altri -principalmente gli Ebrei- c’era dunque il “campo dei non credenti”.

d: Secondo lei sarebbe ora di togliere quella scritta.

r: Io la cambierei, perché chi appartiene alla fede ebraica, musulmana, Bahá’í etc. è un “credente” come gli altri (ma devo anche dire che il rispetto dovuto si evince comunque nelle restanti parti del cimitero). Tornando però alla tomba di mia figlia, lì sopra c’è proprio un’Araba Fenice, realizzata in marmo verde di Carrara da un famoso artista contemporaneo, originario di Todi, Bruno Ceccobelli, mio amico personale. Per quanto riguarda il mio credo, ho abbracciato la fede Bahá’í nel 1982, dopo un percorso di ricerca spirituale (nasco in un ambiente cattolico), e dopo essermi avvicinato alla filosofia zen, a quella buddista etc. Mi accorsi subito che quella Bahá’í poteva essere la mia fede, in quanto riconosce l’unicità di Dio, comunque lo si voglia chiamare nelle varie religioni. Nel corso delle ere Dio ha infatti mandato nel mondo vari profeti, vari messaggeri.

d: E’ una sorta di sincretismo?

r: No, perché ha un suo rivelatore, una manifestazione di Dio, che è appunto Bahá’u’lláh, non certo un mistico che ha preso "un po’ di tutto". E’ un nuovo messaggero religioso: i tempi erano maturi perché l’uomo comprendesse l’armonia tra la scienza e la religione, la parità tra uomo e donna, la possibilità che nasca una confederazione mondiale di tutte le nazioni, con la fine delle disparità tra ricchi e poveri. Alla base c’è sempre la ricerca libera e indipendente della verità: noi Bahá’í non facciamo proselitismo e non abbiamo sacerdoti.

d: Quanti siete in Basilicata?

r: I numeri non sono grandissimi, sono stati maggiori in passato, ma poi c’è stato chi s’è trasferito. Posso dirle però che –secondo l’Enciclopedia Britannica- siamo la seconda religione più “diffusa” al mondo (anche se non stiamo parlando di numero di credenti).

d: Lei è da sempre attivo come critico d’arte in una Basilicata che è piena di tesori. Siamo davvero consapevoli di questo patrimonio di Bellezza?

r: Circa una trentina d’anni fa mi immersi in un’indagine sull’arte prodotta in Basilicata tra l’Ottocento e il Novecento, e senza presunzione posso dire di essere stato uno dei primi a scoprire che c’era tutto un tesoro rimasto celato. E sa perché? Con l’arrivo di Carlo Levi nacque una visione tutta “leviana” della pittura e della scultura lucana, che ha obliterato tutto quanto c’era stato prima. Oggi? C’è una vivacità culturale discreta, ma meno interessante, perché molti si improvvisano. Ma quelli che ci sono… contano.

d: Chiarisca quel “meno interessante”.

r: Guardi, quando rintracci la vena del dilettantismo, che assurge a “proposta artistica”, te ne rendi immediatamente conto. La genialità, l’estro, l’originalità, invece, si “leggono”.

d: Mi dice il nome di un qualche personaggio lucano che è stato ingiustamente sottovalutato o dimenticato?

r: Mmmm… beh, uno che ha avuto comunque un certo apprezzamento, ma che aveva capacità ancora maggiori di quelle riconosciutegli, è stato Arcangelo Moles, artista eclettico (fotografo, grafico, pittore, scultore), scomparso prematuramente qualche anno fa.

d: E qualcuno sopravvalutato?

r: Non vorrei riferirmi a qualcuno in particolare, bensì a tutta quella massa di “improvvisati” che si approcciano a questa scena artistica.

d: Esistono i “raccomandati” nel mondo dell’arte?

r: Non esistono i “raccomandati” nell’arte, ma il mondo dell’arte è comunque un sistema viziato. Dopo l’Ottocento, finita l’epoca dei mecenati e con il mercato che è diventato “borghese”, hanno cominciato a prevalere le leggi di mercato e le relative “quotazioni” attribuite agli artisti. Un meccanismo, questo, che passa attraverso il “sistema” delle gallerie, dei mercanti, dei collezionisti, dei critici e degli storici.

d: E si può vivere di arte in Basilicata?

r: E’ molto difficile e complesso, ma c’è chi lo fa, come Pino Oliva, un artista di Matera. Potrei fare altri esempi, ma… va bene così.

d: Cosa c’è di “oggettivamente brutto” a Potenza?

r: E’ un “oggettivamente brutto” che si associa all’ “oggettivamente bello”: il Ponte Musmeci. Un’opera straordinaria, che va ristrutturata (e i tempi si stanno allungando mirabilmente!), ma per apprezzarlo bisogna andarci sotto, e a maggior ragione se c’è l’illuminazione notturna. L’“oggettivamente brutto” è dunque nella parte superiore: cantiere a parte, c’è quel guard-rail, quelle ringhiere, che non fanno apprezzare la bellezza del monumento! A Torino ogni ponte sul Po è arricchito di fiori e gerani. Ecco, sul Musmeci perché non mettere delle fioriere? E perché non mettere delle opere d’arte, delle sculture, lungo il percorso del parco del Basento?

d: Sempre a proposito di “Bellezza”, cosa ne pensa del dibattito sulle sorti del nostro centro storico?

r: La Bellezza sta nelle sue chiese, anche se col Terremoto abbiamo perso i “sottani”. Abbiamo perso il centro storico anche quando, negli anni Sessanta, si optò per un’edilizia spinta. Comunque, anche a Santa Maria c’è una chiesa molto bella, che ha un altare barocco molto interessante, e ove si presume ci sia una reliquia importantissima.

d: Se potesse prendere sottobraccio l’attuale sindaco, Mario Guarente, cosa gli direbbe?

r: Posso sbagliarmi, ma intanto gli direi di avere maggior dialogo con la base sociale. Vedo una scarsa comunicazione tra lui e alcune fasce sociali. Penso al mondo degli artisti che bussano alla sua porta e che, in alcuni casi, mi risulta non ottengano risposta.

d: Ma, più in generale, la politica lucana ha “capito” che la Cultura è una risorsa fondamentale o la considerano ancora un parente povero?

r: Io sono di origine siciliana, nato per combinazione a Cuneo, e trasferitomi a Potenza negli anni Sessanta. A quei tempi, sui libri di scuola, questa regione appariva come la più povera e col maggior numero di analfabeti. Beh, da allora di strada ne è stata fatta tanta e il patrimonio artistico e monumentale è stato evidenziato, in particolar modo con Matera Capitale Europea della Cultura, un progetto che ha investito tutta la regione e i cui effetti si registrano ancora adesso.

d: Quindi, “non lamentiamoci”.

r: No, non lamentiamoci.

d: Il film che la rappresenta?

r: “La passione di Cristo” di Mel Gibson. Un film crudo, certo, ma forse quello più vicino alla realtà storica, insieme al “Vangelo” di Pasolini. A questo proposito, mi sovviene che il fotografo Mimì Notarangelo è un’altra figura che si è iniziata a ricordare solo dopo la scomparsa.

d: La canzone?

r: “La Canzone di Marinella” di De Andrè. E’ il brano mio e di mia moglie sin da quando eravamo fidanzati. E quando sento il verso “scivolò nel fiume a primavera”, penso a mia figlia, che è venuta a mancare drammaticamente a diciannove anni.

d: Il Libro?

r: “L’idiota” di Dostoevskij, perché afferma che “La Bellezza salverà il mondo”. Anche se, vabè, è una frase parecchio abusata.

d: Fra cent’anni, in quell’angolo del cimitero di Potenza, cosa vorrebbe fosse scritto sulla sua lapide?

r: Domanda interessante. Direi “Seminatore di idee”, anzi no: “Spargitore di semi”. Sì, mi piace questa.