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di Walter De Stradis

La Potenza “culturale”, dolosamente, è spesso l’ultima a sapere.

Ma il potentino (di origini pugliesi) Vito Lisi, probabilmente di certi ambiti non ne ha (più) bisogno, essendo da anni il cantante ufficiale degli Alunni del Sole, ed esibendosi principalmente –come conseguenza- in più ampi contesti extra-regionali.

Tuttavia, i potentini che seguono le -faticose e sofferte- traiettorie della musica “etnico-popolare” nostrana, riconoscono in lui anche il leader dei “Mercantinfiera” nonchè l’autore e interprete dell’inno della maschera popolare locale, Sarachella. E scusate se è poco.

d: Come giustifica la sua esistenza?

r: Involontariamente, tra tanti, ci sono anch’io. Ma ho accettato di buon grado questa mia presenza in ambito artistico, avendo anche contribuito un tantino a “svecchiare” la proposta musicale che da queste parti andava per la maggiore negli anni 60/70. Con il nostro primo gruppo, i “Sapdi…” (che significa “Stavamo appunto parlando di…”), portavamo infatti avanti un discorso rock che a Potenza –ove andavano di moda le cosette anni 60 alla Edoardo Vianello- ancora non si era sentito.

d: Ma per lei c’è stata poi anche una sorta di “svolta” etnico-popolare…

r:... all’incirca nel 1986, con un gruppo prodotto da De Blasiis, Quaratino etc., che si chiamava “Mercantinfiera”…

d: Quel primo ellepì (“Dove s’incurva il giorno” - ndr), infatti, recava proprio i testi di Giovanni De Blasiis.

Esatto, erano molto belli e suggestivi. Quel disco fu supportato anche dal batterista degli Equipe 84, che aveva una sala d’incisione a Milano, e facemmo una tournee con l’Abs (Associazione Basilicata Spettacolo) nelle varie piazze lucane.

d: Successivamente, come “Mercantinfiera”, ha fatto anche altri cd.

r: Sì, con l’Elcasound di Reggio Calabria e col grande e compianto Stefano Rubino che aveva le edizioni musicali Trifoglio a Roma. Lui produsse un bel disco, “Cielo di sotto”, che trattava le tematiche ricorrenti qui al Sud, quali la disoccupazione, l’emarginazione della donna, i ragazzi sempre in attesa…

d: Lei però aveva già collaborato anche col Genio di questo genere musicale, Antonio Infantino.

r: Già, nel 1978 –tramite il Folkstudio- avevamo fatto insieme una tournee in tutta Italia; ricordo che a Piazza Maggiore a Bologna c’erano dodicimila persone. Io suonavo la batteria, e c’erano tutti i Tarantolati, quelli originali. Piacenza, Torino, Taranto: Antonio era molto bravo, molto seguito, perché lui era un vero Genio della Musica. Forse è stato capito di meno proprio nella piazza di Potenza.

d: A Proposito di Potenza, lei aveva avuto modo di suonare anche con l’unico, vero cantante “folk” (anche per estrazione culturale), che la città abbia mai potuto vantare: Michele di Potenza.

r: Anche con lui facemmo delle piazze, fino gli anni Settanta. Lo accompagnammo noi “Sapdi…”, in quanto aveva bisogno di una band di supporto. Lui faceva musica folcloristica, più “da contrada”, ecco, ma era molto apprezzato, perché la gente con lui si divertiva parecchio. Michele sapeva lavorare bene sul palco, nel suo genere era molto professionale.

d: E poi, naturalmente, c’è la sua militanza, ormai di lunga data, negli Alunni del Sole, di cui è divenuto il vocalist ufficiale, dopo la scomparsa di Paolo Morelli.

r: Quest’estate abbiamo fatto diverse serate, soprattutto in Calabria.

d: Lei ha narrato questa bella storia nel suo libro (“In sella ad una moto verso gli Alunni del Sole”, Villani Editore – ndr), ma raccontiamo, brevemente, quella che è la realizzazione di un vero sogno: lei mandò una cassettina ai fratelli Morelli (Paolo era ancora vivo) con le sue versioni delle loro canzoni…

r: …sì, li conoscevo già dal ’70 e spesso mi invitavano a Roma, ai loro concerti, alle loro cene al ristorante. Avevano apprezzato la mia timbrica, quell’impasto vocale che era molto simile a quello del grande Paolo Morelli, un grande cantante, pianista e compositore. Le dico che tanti altri artisti, da Dalla a Ruggeri, frequentavano la sua casa romana e attingevano anche qualche idea. Rispetto ad altri, però, Paolo era un po’ schivo, era un vero artista, ma non amava esporsi troppo (sovente, dopo i concerti, si rifugiava in albergo).

d: E così, quando Paolo Morelli venne a mancare, fu reclutato lei…

r: Sì. Il fratello Bruno -che detiene il marchio “Alunni del Sole” ed è un grande chitarrista- mi chiamò per cantare e suonare il pianoforte (addirittura lo stesso di Paolo!) con loro, affrontando il pubblico con quelle stupende canzoni. Da allora abbiamo fatto tanti concerti.

d: E’ una grande responsabilità.

r: Ma anche un grande onore. Uno sogno che si è realizzato. In tutte le piazze, gremite, ci hanno sempre richiesto il bis, suonando ogni volta una mezzora in più, persino nel Napoletano, che è una piazza particolarmente esigente.

d: Lei si esibisce con questo gruppo di fama nazionale, e quindi più che altro al di fuori dei confini regionali, ma come artista di musica popolare ha battuto la nostra terra, al pari dei suoi altri colleghi lucani. In queste interviste chiedo sempre agli artisti nostrani quali siano i “problemi” del settore: Antonio Guastamacchia mi rispose dicendo che qui da noi spesso e volentieri, anche per poter suonare, bisogna essere raccomandati dalla politica (e che lui non si era mai voluto avvalere di questa scorciatoia).

r: L’affermazione di Guastamacchia non è troppo lontana dalla realtà. Il problema è che per poter portare avanti un discorso di musica etnico-popolare, lo devono prima “recepire” i politici, o quelli messi lì “a caso”, o i responsabili culturali. E non sono in grado: per loro va bene tutto quello che mandano gli impresari di fuori. Non hanno vocazione al sentimento o alle emozioni, ma puntano esclusivamente all’eccitamento, cioè a tutto ciò che possa eccitare il pubblico, a tutto ciò che fa mercato, e quindi il tutto si riduce a un mero discorso di lucro.

d: Forse in Basilicata ci si vergogna un po’ delle tradizioni.

r: E’ vero, ma ciò non accade in Puglia, in Campania, o nel Salento. Solo in Basilicata.

d: E perché?

r: Si tratta di retaggi storici. Forse si è cominciato tardi. Prendiamo Michele di Potenza: andava riscoperto prima, ma prima era “bandito”, andava molto di più nelle contrade, San Nicola di Pietragalla, Filiano, e secondo me non è stato mai davvero apprezzato a Potenza. Adesso stanno ricominciando a riscoprirlo, ma finora in effetti c’è stata questa vergogna a parlare delle origini, dei contadini…

d: Lo stesso Infantino, forse, ha avuto più fortuna –come autorevolezza culturale- fuori dalla regione.

r: Certamente. A Firenze, Piacenza, Bologna…la gente lo seguiva, era incuriosita, lo intervistavano. Rispetto a Michele di Potenza, lui era più d’elite, ma i ritmi si capivano, i ritmi di quelle terre, del materano, sempre assolate e secche, prive di pioggia. La sua musica era la colonna sonora della vita, della vita degli umili.

d: La domanda tormentone: perché in Salento sono riusciti a fare tesoro delle loro tradizioni musicali, creando un indotto turistico ed economico che fa spavento, e noi Lucani no?

r: Perché, come dicevo, da noi si è partiti molto in ritardo. Nel 1978 con Infantino andammo a suonare ad Amendolara in Calabria, a Mottola in Puglia, e ricordo che la sera, di ritorno dal lavoro, i contadini si mettevano a cantare e a ballare insieme a noi. Come dicevo, è questione di retaggio sociale: in quelle zone la gente è più felice, perché è più ricca, perché le loro terre producono di più; a Potenza, invece, c’è questa rassegnazione, questa mortificazione, proprio perché non c’è la stessa ricchezza di quelle altre terre. La gente di qua è dunque più restia al divertimento: quando coi Mercantinfiera suonavamo a Matera, le persone si incuriosivano e ci facevano domande, qui a Potenza si nascondono nei vicoli.

d: Quella musica ricorda loro la povertà.

r: Esattamente!!! E non vogliono ricordarla. Pensano, e sottolineo “pensano”, di aver avuto un’evoluzione sociale ed economica che ancora non hanno avuto, invece.

d: Se potesse prenderli sottobraccio, cosa direbbe al sindaco di Potenza, Guarente, e al Presidente della Regione, Bardi?

r: Di cambiare lavoro.

d: Che musica metterebbe come sottofondo a queste elezioni appena concluse? Un rock, una tarantella, una marcia funebre…

r: Un brano di Goran Bregović.

d: Musica balcanica?

r: Sì.

d: E come mai?

r: Perché lui porta avanti quelle tematiche…rivoluzionarie.

d: E come mai si adattano a queste elezioni?

r: Perché credo sia in corso una rivoluzione.

d: Il film che la rappresenta?

r: “Amarcord” di Fellini.

d: La canzone?

r: “C’è tempo”, di Ivano Fossati.

d: Il Libro?

r: “Il sospetto” di Alberto Moravia.

d: Mettiamo che fra cent’anni scoprano una targa a suo nome: in quale vicolo o scalinata di Potenza le piacerebbe fosse apposta, e quale epigrafe immagina?

r: «Forse la mia vita passa, ma non passa la vita del mio intelletto». Mi piacerebbe fosse apposta su un albero.