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di Walter De Stradis

 

 

 

 

La “pareidolia” è quel processo psichico che –sostanzialmente- ci spinge a vedere figure riconoscibili nella sagoma delle nuvole. L’artista multiforme Teli Volini, essendo nativa di Castelmezzano, in mezzo ai profili di quelle Dolomiti in cui è facile scorgere/immaginare volti di animali o persone, afferma che proprio la “pareidolia” (che è anche il titolo di un suo libro), sia una delle sue “Muse” ispiratrici.

d: Come giustifica la sua esistenza?

r: A parte gli affetti familiari, con la dedizione completa alla Musa, all’Arte.

d: A questo proposito, lei si definisce: “pittora, incisora, performer, land artista, body artista, social sculptor, poeta, saggista, docente e linguista, traduttrice, risemantizzatrice, portatrice di memoria, ricercatrice, mitoarcheologa, conferenziera, blogger, reporter, eco tuner, designer e interior designer, curatrice e operatrice culturale, presidente del Centro d’Arte e Cultura Delta di Potenza, dell’Impresa di Pace e della Casa delle Erbe di Potenza e Castelmezzano”. Non saranno un po’ troppe cose?

r: (Sorride). Per me sì. Difatti il mio corpo fisico mi manda continui segnali. Mi è venuta persino una tendinite per l’uso eccessivo del mouse: ci ho messo ventitré anni per scrivere questo libro (che contiene, tra l’altro, anche una settantina di miei disegni).

d: Sta parlando dell’ultimo “Glifi”, che sarà presentato sabato 24 settembre (oggi, per chi legge – ndr) al Polo Bibliotecario di Potenza, in via don Minozzi.

r: Esatto. Una ricerca “mito-archeologica”. Ha a che fare con la tecnica usata dalla studiosa Marija Gimbutas (a cui sono persino riuscita a far dedicare una rotonda, qui a Potenza). Lei ci ha offerto su un piatto d’argento le prove, archeologiche, inoppugnabili, sull’esistenza di civiltà pre-storiche, molto antiche, nelle quali regnava la pace.

d: Un mito atlantideo, in qualche modo.

r: Magari, chissà, ma quel mito non è confermato storicamente, mentre in questo caso ci sono dei reperti archeologici.

d: E cosa c’entra tutto questo con la Basilicata?

r: All’inizio degli anni Novanta, durante una passeggiata a Croccia-Cognato, sulle Piccole Dolomiti Lucane, nel parco di Gallipoli, scoprii l’esistenza di questi “segni”, incisi sulle antiche pietre delle mura lì attorno.

d: Risalenti a quando?

r: Li fanno risalire al IV° Secolo avanti Cristo. Ma non è vero. perché anche nella cultura “normale” ci sono delle grandi “fake”. Esplorando esplorando, invece, mi sentii di avvalorare l’ipotesi che fossero del IV° Millennio! Secondo la metodica della Gimbutas, ho fatto un raffronto con le antiche pietre, e non è possibile che quei glifi –che testimoniano l’esistenza di civiltà veramente ancestrali- siano del IV° Secolo. Gli studiosi si sono confusi con gli Osco-Sanniti (che certo di lì ci sono passati e hanno abitato).

d: Quale significato hanno questi “segni”?

r: Questa è la cosa incredibile, finora nessuno se l’era domandato: erano stati completamente ignorati.

d: Cioè lei mi sta dicendo che in Basilicata ci sono questo tipo di cose, e gli addetti istituzionali alla Cultura le “ignorano”? Non ci sono indicazioni di sorta?

r: Lì è “indicato” tutto, tranne questi glifi. Ci si scivola sopra, ma intanto non si cura il sito, e questi segni stanno sparendo, perché col tempo si coprono di ruggine, licheni e muffe.

d: Ma lei lo ha segnalato alla istituzioni?

r: No, perché sono stufa di litigare con le istituzioni. E poi ho preferito ultimare prima il libro, con lo studio di tutti i significati, altrimenti non sarei stata presa in considerazione.

d: Mi dice il significato di questi glifi?

r: Innanzitutto le dico quali sono i segni: il cerchio puntinato, il triangolo con la punta in giù e quello con la punta in su, la doppia x. Sono segni cha danno luogo a significati…

d: …esoterici?

r: No no no, proprio “realistici” e simbolici.

d: Tipo?

r: (Sorride) Adesso mi fa svelare…

d: Me ne dica uno.

r: Va bene. Il simbolo del triangolo (con la punta in giù), antichissimo, presente già presso i Sumeri, rappresenta il sesso femminile, e quindi la donna. Naturalmente, questa è solo una banalizzazione del mio lavoro (ho girato il mondo a fare raffronti).

d: All’uscita di questo libro, si aspetta una qualche reazione dell’archeologia ufficiale?

r: Me lo auguro, perché io le risposte da dare le conosco. Le mie motivazioni sono articolate, mentre loro non sono nemmeno stati capaci di vedere. O meglio, i glifi li hanno intravisti, ma li hanno lasciati lì.

d: Quindi lei afferma di aver realizzato una sorta di “scoop storico”: in Basilicata esisteva dunque una civiltà “ancestrale” praticamente sconosciuta…

r: …esatto, ben prima dei nostri cinquemila e pericolosissimi e guerrafondai secoli storici.

d: La caratteristica di questi popoli, diceva, era la propensione alle pace.

r: Erano pacifici. Se si consulta il sito della Gimbutas, per esempio, si apprende che a Matera, nell’antico sito di Serra d’Alto, non vi sono segni di “bellicità” (che di solito sono le armi).

d: Venendo alla Potenza di OGGI …si può vivere “di cultura” qui da noi?

r: Io trovo che vi sia un atteggiamento assolutamente deleterio. In Basilicata ci si dà la zappa sui piedi. Me lo dicevano anche a Milano, dove ho vissuto per venticinque anni, una volta trasferitami “in transumanza” per la disperazione. Tuttavia non ho mai voluto staccare con la mia terra d’origine, ma come “ringraziamento”, mi sono accorta che più progredivo con la mia arte (a Milano il Comune mi dava patrocini e anche soldi), qui in Basilicata non mi trasmettevano nemmeno i servizi in tv. E facevo cose importanti.

d: Come se lo spiega? Provincialismo? Invidia?

r: Sì, sì. Qui ci sono delle “lobby” e se non ne fai parte…per la verità, io ci sono anche entrata con gentilezza, ma ho riscontrato freddezza. Forse devi avere una qualche caratteristica particolare, forse un cognome, una cosa politica…o forse ti devi dare, devi dare le tue opere...Non so. Le mie sono ipotesi, per carità.

d: Esistono i “raccomandanti della Cultura”?

r: Credo proprio di sì. A me hanno fatto cose tremende. Ma io mi considero un’ape industriosa, che ha bisogno di creare alveari, e pensi che a Milano mi ci sono comprata una casa, vendendo i miei quadri. A un certo punto decisi di fare nella mia città, Potenza, delle istallazioni in difesa della Natura. Chiesi il permesso, spesi i MIEI soldi, e misi questi grandi pannelli (dietro i quali c’era un grande lavoro e anche delle conferenze) in giro per la Città; passa un signore, che qui va per la maggiore, e mi fa un articolo tremendo, dandomi pure della esibizionista. Eppure su quei pannelli non c’era certo una donna con una scollatura volgare, bensì me stessa, una persona che si accingeva a fare un tipo di comunicazione molto potente. Risposi per le rime. Perché anch’io so scrivere.

d: Per le sue istallazioni qui da noi non riceve mai aiuti economici?

r: Guardi, forse qualcosina me la diedero pure, non ricordo nemmeno più, ma ricordo bene le difficoltà che le ho descritto. Quando un servizio televisivo pubblico ti “boicotta”, la gente sa tutto della sagra del provolone, ma poco o nulla della tua attività artistica. E io invitavo partecipanti da tutto il Mondo.

d: Cosa direbbe, se potesse prenderlo sottobraccio, al sindaco di Potenza?

r: Di fare una scelta di qualità nell’arte. Molti sono, non dico banali, ma certo si limitano alla normalità. Io sono a-normale (sorride), faccio cose fuori dall’ordinario, che possono essere interessanti per la crescita della comunità. E’vero, il Comune di Potenza mi consentì di apporre la targa di Marija Gimbutas, ma io volevo fare anche il monumento alla “DONNA ignota”, e non è successo niente. Sarebbe stata una peculiarità a livello mondiale (dedicata alle donne “comuni” che fanno sacrifici). Non mi hanno risposto nemmeno, e sono stanca di stare lì a scrivere sempre. La Regione a volte mi ha patrocinato, ma anche loro devono tenere presente gli artisti che possono portare a una visibilità nazionale e anche internazionale. Il mio libro sui glifi potrebbe portare a una rivalutazione, anche economica, di quella zona.

d: Mettiamo che, fra cent’anni, scoprano un “glifo”, una qualche epigrafe, dedicata a lei: cosa le piacerebbe ci fosse scritto?

r: Intanto spero che nel frattempo le cose cambino, ma direi: «Fu un’artista ammirata ed amata. E faceva bene ciò in cui credeva».