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di Walter De Stradis

 

 

 

Nel “magic moment” dell’AZ Picerno (calcio, serie C), un ruolo fondamentale lo sta svolgendo lui, Reginaldo Ferreira da Silva.

Trentottenne attaccante dal pedigree addirittura nobiliare (ha giocato diversi anni in serie A, con Treviso, Fiorentina, Parma), noto anche alle cronache “rosa” (il vecchio flirt con la Canalis), ha da tempo anche la nazionalità italiana («Sono Paulista, nato a 40 minuti dal Centro, ma se oggi voglio girare per San Paulo, ho quasi bisogno di una guida»), e per venire a giocare qui in Basilicata si è stabilito a Potenza (e fra una decina di giorni ci sarà pure il derby). Porta, da sempre, i capelli rapati a zero, «e non è per imitare Ronaldo».

d: Come giustifica la sua esistenza?

r: Credo di esserci nato, per il calcio. Ho dato molto al Campionato italiano, e oggi mi trovo qui in Basilicata, chiamato dal Picerno che mi ha voluto fortemente, più di tutti.

d: Quale fattore l’ha convinta ad accettare la loro proposta?

r: Proprio la grande voglia che avevano di portarmi all’Az Picerno. In quel periodo avevo altre due o tre proposte, ma loro mi chiamavano più volte al giorno e il loro entusiasmo mi ha convinto.

d: Cosa crede che cercasse la società in uno come lei?

r: Credo che a 38 anni, io abbia dimostrato di essere una garanzia di professionalità e serietà. E penso di poter essere anche di esempio ai giovani: dimostrando coi fatti che questo è un mestiere bellissimo, che molti sognano di fare, ma che va portato avanti con impegno e dedizione.

d: Questo è un concetto importante: cercare di far capire ai giovani che fare il calciatore può portare successo e ricchezza, ma che la cosa va affrontata con grande serietà. A microfoni spenti abbiamo parlato di altri calciatori famosi, proprio brasiliani, che non hanno saputo gestire questa fortuna e si sono “bruciati”. Lei ha giocato in serie A, ed è stato anche protagonista delle cronache rosa: come si fa a gestire la fama, e i soldi, senza perdere la testa?

r: Io credo che nella vita ci sia un momento per tutto; voglio dire, la domenica, dopo la partita, la “seratina” e la cena con gli amici ci sta pure –io da giovane, quando potevo, mi divertivo- ma bisogna sempre sapersi gestire, perché noi siamo calciatori e siamo sempre nell’occhio del ciclone. Per questo penso a quei circa 1200 giocatori professionisti disoccupati (perché magari alcune società sono fallite e la C2 non esiste più) che vorrebbero essere al nostro posto, e per questo dico che è sempre nostro dovere dare il massimo. I soldi? Beh, anche quelli bisogna saperli gestire, perché la carriera di un giocatore è breve, e ci sono alcuni di noi che non arrivano a dodici, tredici anni di professionismo. In tutto questo, è importante il ruolo dei procuratori e/o delle famiglie, è importante dare i consigli giusti, altrimenti poi possono insorgere difficoltà. Vede, noi calciatori sappiamo fare solo questo, sono pochi quelli che hanno finito la scuola o che sanno fare altre cose, quindi, torno a dire, bisogna sapersi gestire.

d: Un brevissimo passaggio sul mondo del Gossip, considerata la sua relazione, di alcuni anni fa, con la showgirl Elisabetta Canalis (cosa che ancora oggi campeggia fra i primi risultati, se si inserisce il suo nome su Google). Ho letto da qualche parte che lei ritiene che la sovraesposizione extra-calcistica le abbia in qualche modo creato problemi, inficiando la sua carriera.

r: “Problemi” direi di no, visto che all’epoca ero giovane, ero single, e trovo normale che uno decida per la propria vita. Con la Canalis sono stato benissimo, poi è finita, ma in quel periodo non era mai venuto meno il mio impegno sul campo, perché per conquistare la Canalis avevo prima dovuto “conquistare” parecchi campi di calcio, così come importati società (Treviso, Fiorentina e Parma). Pertanto, in quelle interviste mi ero limitato a dire che mi piacerebbe che si parlasse di me per ciò che ho fatto nel calcio, non ho certo detto che sono stato “rovinato” da quella relazione, come invece è stato scritto.

d: Parliamo allora di calcio. Il momento che porterà sempre con sé?

r: Avevo sedici anni quando entrai nel Treviso, e quindi l’averlo poi portato in serie A, dopo un’assenza di trent’anni, mi rimarrà sempre nel cuore. Dal “cucchiaio” alla “forchetta”, al Treviso mi hanno insegnato tutto.

d: Questo è curioso, perché di solito si è portati a pensare che i calciatori brasiliani arrivino in Italia già “giocolieri”.

r: In Italia ero già venuto prima per alcuni brevi tornei giovanili (e mi ero segnalato fra i migliori talenti), ma fu il Treviso a decidere di scommettere su di me. Già all’epoca però, ragionavo e avevo il pensiero di dare più di tutti gli altri che erano qui, perché volevo essere di sostegno alla mia famiglia, che era rimasta in Brasile.

d: Facciamo ancora un passo indietro: qual è stato il momento della sua vita in cui ha capito che il calcio sarebbe stato il suo lavoro?

r: C’è in effetti un episodio a cui penso spesso. Da bambino, da quando avevo otto anni, passavo la mattinate a giocare per strada, scalzo. Ricordo sempre questa scena: mio padre era al bar di fronte a giocare a carte, e mi teneva d’occhio, quando a un tratto un camionista gli disse: “Ma non vedi come gioca tua figlio? Se non ti svegli e non lo porti a fare un provino da qualche parte, lo faccio io al tuo posto, ma poi non mi chiedere soldi, eh!?”. Quelle parole mi colpirono molto, e da quel momento io stesso mi misi a cercare le società e a giocare con quelli più grandi. Pensi che a Rio de Janeiro una volta mi ruppi la clavicola, perché io, tredicenne, giocavo contro calciatori di trenta e quarant’anni, e quelli non riuscivano a beccarmi! Quando poi iniziai a giocare per la squadra della mia città, presero a chiamarmi “Pelezinho”, “piccolo Pelè”.

d: Questa storia ricorda un po’ quella vista ne “L’allenatore nel pallone”, il film con Lino Banfi: scommetto che è una delle prime cose che le hanno fatto vedere qui in Italia!

r: Sì sì, avevo sempre visto degli spezzoni, ma l’ho guardato integralmente una decina di anni fa. Nel mondo del calcio è popolarissimo, e ogni tanto c’è pure qualcuno che scherza e mi chiama “Aristoteles” (il calciatore brasiliano del film – ndr), e allora io mi giro e dico “Mister, fammi giocà!” (imitando la voce del personaggio – ndr). In effetti, se uno ci pensa, quella storia è la pura verità.

d: Col Picerno la salvezza è ormai quasi acquista…

r: Ancora matematicamente no…

d: Ma l’obiettivo è “solo” quello?

r: E’ l’obiettivo principale, e vogliamo fare punti velocemente per raggiungere la certezza matematica. Una volta acquisita la salvezza, cercheremo di fare qualcosina in più…

d: Lei però vive a Potenza, non a Picerno.

r: Sì, fino a mercoledì scorso c’era anche la mia famiglia, da poco tornata in Brasile.

d: Immagino che, a parte Cava dei Tirreni (dove viveva quando giocava a Pagani - ndr), questa sia la città più “piccola” con la quale si è confrontato qui in Italia.

r: Beh, sì, Cava è più o meno così.

d: E com’è la sua vita qui a Potenza?

r: La maggior parte del tempo sto a casa, a guardare Netflix, ma se occorre vado in Centro.

d: Che impressione le fa la città?

r: Sì sta bene, per questo ho scelto di vivere qui. Pure a Picerno si sta bene, ma qui ho trovato una situazione un po’ più comoda, coi negozi proprio sotto casa etc.

d: Un difetto di Potenza?

r: Forse c’è un po’ troppo traffico, per essere così piccolina! (sorride). Quando vengo da Picerno, per arrivare in Centro…c’è un sacco di casino!

d: Cosa le dicono i Picernesi, a parte “fai gol!”, quando l’incontrano?

r: La gente mi dice che rimane impressionata dall’impegno che ci metto, nonostante la carriera che ho fatto e l’età che ci ho. Penso che finché potrò dare qualcosa, sul campo e fuori, continuerò a esserci.

d: Lei col Picerno però ha un contratto di un anno.

r: Sì. Volendo, potrei firmare anche adesso per altre squadre, ma non è quello il mio pensiero, perché sono concentrato a finire bene il campionato col Picerno (se facciamo i play off sarebbe un sogno!) e poi si vedrà.

d: Ma quando smetterà, farà l’allenatore o…

r: No, vorrei fare il talent scout. Ma prima mi dedicherò per tre o quattro anni esclusivamente alla mia famiglia.

d: Il film che la rappresenta?

r: “Il miglio verde”, con quel gigante buono che vuol fare del bene.

d: La canzone?

r: Adoro la samba, e mi piace un interprete molto classico, Thiaguinho.

d: Il libro?

r: Quello di Ibra, mi ha dato la carica (anche se mi piace il suo modo di ragionare, non di offendere alcune persone).

d: Fra cent’anni scoprono una targa a suo nome al campo di Picerno, cosa le piacerebbe ci fosse scritto?

r: «Un grandissimo professionista».