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di Walter De Stradis

 

Baffetti e pizzo bianchi, filiformi, occhio vispo, il 64enne professor Ignazio Marcello Mancini è il Magnifico Rettore dell’Università degli Studi della Basilicata. E lo sarà fino al 2026, quando –spera lui e speriamo anche noi- l’istituendo Corso di Studi in Medicina sarà una solida realtà.

Lo abbiamo incontrato nel suo ufficio a Potenza (dalle vistose poltroncine rosse), rispettando i protocolli, alla presenza anche della professoressa Patrizia Falabella, Prorettrice alla Didattica.

D: Come giustifica la sua esistenza?

R: Come tutti, provando a lasciare le cose un po’ meglio di come le ho trovate.

D: Lei è originario di Bari...

R: Sì, e mi sono laureato lì. Ho fatto il mio bravo precariato qui all’Unibas, per poi vincere il primo concorso nell’89. Sono sedici anni che vivo in pianta stabile a Potenza. Prima “pendolavo”.

D: Una domanda un po’ telefonata, ma necessaria. Com’è cambiata l’Unibas al tempo del Covid?

R: Al di là dei “tecnicismi” legati alla didattica, il Covid l’ha cambiata profondamente. Il modo di insegnare è mutato radicalmente, la teledidattica non potrà mai sostituire la “vera” Università: si perdono quegli sguardi e quelle intese che ci sono in aula (penso a quante volte io stesso, dopo una lezione, ho incontrato gli studenti per dei chiarimenti). Lo stesso, quando si è reso necessario, ci siamo fatti trovare pronti, sin dall’inizio. Spesso infatti si sottovaluta che dietro la cosiddetta “teledidattica” c’è tutta un’organizzazione, comprensiva dell’allestimento, nelle aule, dell’attrezzatura adeguata.

(Interviene la prof.ssa Patrizia Falabella, Prorettrice alla Didattica: «In dieci giorni riuscimmo a organizzare una piattaforma che, pur in nostra dotazione, non avevamo mai utilizzato!»).

D: Diceva però che molto è cambiato, al di là dei “tecnicismi”.

R: Sì, i rapporti interpersonali.

D: Questo è importante, perché si è sempre detto che una delle risorse di un “piccolo” Ateneo come il nostro, rispetto a quelli più “vasti”, è proprio il tipo di rapporti interpersonali che possono crearsi fra docenti e studenti.

R: Questa maggiore apertura verso gli studenti l’abbiamo comunque preservata, anche attraverso le piattaforme, ma certo il rapporto umano cambia, anche fra i colleghi stessi. La distanza impone forse una minore spontaneità nell’interlocuzione, tuttavia...

D: Tuttavia?

R:...io ci vedo anche un’opportunità.

D: In che senso?

R: Il telelavoro in alcuni casi ha reso più efficiente le procedure di alcuni nostri uffici, laddove a volte la presenza poteva essere un fattore di… rallentamento: ecco, questa “spersonalizzazione” a volte può essere utile.

D: Quindi, “non demonizziamo sempre lo smart working”!

R: Ma no, oltretutto, che ci piaccia o no, adesso è questa la realtà. Di più: se in Basilicata ci fosse una infrastruttura informatica solida, robusta, estesa davvero a tutti, anche questa potrebbe essere un’opportunità: ci sono già professionisti dell’ingegneria e personaggi del mondo della moda che optano per la tranquillità dei paesini lucani, potendo comunque svolgere il loro lavoro a distanza. Io ne ho incontrati alcuni.

D: Un domani lo smart working potrebbe dunque ripopolare i nostri paesi.

R: Potrebbe essere un’occasione. L’insegnamento a distanza, dal canto suo, può tornare particolarmente utile agli studenti-lavoratori, anche se, come dicevo, non si può pensare a un’Università interamente “a distanza”.

D: Veniamo alla questione “Facoltà di Medicina”. A che punto siamo?

R: Più che di “Facoltà” (che dalla Gelmini in poi non esistono più), è bene parlare di un “Corso di Studi in Medicina”: ed è un discorso molto particolare, perché poggia su un legame imprescindibile tra la componente accademica e il servizio sanitario nazionale e regionale, e quindi gli ospedali. Senza contare la ricerca, con lo stimolo continuo all’innovazione e al progresso, che è quello che poi fa fare il salto di qualità al sistema sanitario stesso. Per questo, Medicina rappresenta una grande opportunità per la Basilicata, ma, attenzione, non da subito, non con la semplice istituzione del Corso di Studi. E’ un traguardo i cui reali benefici si pongono tra qui a dieci anni.

D: Ma col prossimo anno accademico si comincia o no?

R: Come dicevo prima, Medicina è un Corso MOLTO specifico, che richiede GROSSI investimenti, e quindi non è una cosa che -a differenza di altre- si può aprire e poi magari chiudere dopo qualche anno per scarsa affluenza. Detto questo, ci sono dei passaggi, fra Università e Ministero, che vanno consumati. Uno di questi è l’esame del CUN (Consiglio Universitario Nazionale), che guarda agli aspetti “culturali” della proposta. E quest’esame -tenutosi fra gennaio e febbraio- noi l’abbiamo superato a pieni voti, grazie al nostro gruppo di lavoro. Adesso ci attende un ulteriore esame da parte dell’ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca), che guarda più che altro alla solidità, alle prospettive e alla sostenibilità del Corso di studi, ovvero anche gli aspetti finanziari, e alle risorse. Di solito queste ultime equivalgono a docenti, aule, biblioteche etc. ma per Medicina ci vuole molto di più: laboratori, strutture ospedaliere affinché gli studenti facciano le cosiddette “cliniche”...

D: E quindi si è in attesa di questo verdetto, l'ultimo, per poi potersi avviare...

R: Si esprimeranno fra aprile e maggio. L’ANVUR farà anche una visita in loco, perché vorrà valutare aspetti finanziari e programmatici: non avendo noi un corpo docente già pronto per il Corso, così come le "infrastrutture" necessarie, si può dire che il tutto andrà ultimato nel giro di tre anni, grazie ai finanziamenti messi a disposizione dall’Accordo di programma, e quindi l'ANVUR vorrà rendersi conto di questi piani. In questi giorni stiamo già interloquendo con i ministeri dell’Università e della Salute, nonché con la Regione, per passare a una fase, -dopo quella “propositiva”- più “operativa”. Questo dell’ANVUR è l’ultimo esame, ma Eduardo diceva che “gli esami non finiscono mai”, e quindi toccherà poi fare i conti col giudizio di studenti, famiglie, cittadinanza...

D: Se potesse prendere Bardi sottobraccio cosa gli direbbe?

R: Rispetto a Medicina gli direi “bravo” (così come al Ministro Speranza e al Ministro Manfredi). Hanno saputo guardare in avanti e non fermarsi all’immediato: io stesso fra sette anni andrò in pensione e -se tutto va bene- riuscirò a vedere i primi laureati.

D: Però?

R: Non c’è un però. Si sono presi un impegno coi Lucani e con l’intero Paese. E bisogna riconoscerlo.

D: Lei si occupa di ingegneria ambientale: questa “partita” che sta giocando col petrolio, la Basilicata la sta vincendo, perdendo o pareggiando?

R: Per risponderle dovrei conoscere nel dettaglio i benefici che ne ha tratto la Basilicata, ma certo è che quest’ultima sentenza sull’Eni, ma direi tutta l’indagine, ci dice che molto poteva essere fatto a protezione dell’ambiente. Gli accorgimenti in realtà non sono mai sufficienti, è una pia illusione, perché tutte le attività impattano e trovare il “punto di equilibrio” è complicato, tuttavia rimane un dovere -per chi opera in quel mercato- fare di tutto per salvaguardare la salute della popolazione, l’ambiente e creare occupazione.

D: Il film che la rappresenta?

R: “L’Attimo Fuggente”.

D: Quindi potremmo dire che è importante saper cogliere “L’Attimo Fuggente” dell’arrivo di Medicina in Basilicata.

R: Quel film voleva dire di più: non vi accontentate dell’ovvio, ma guardate le cose anche da altre prospettive, sappiate cambiare punto di vista. Torniamo al Covid e allo smart working: cogliamo un’opportunità nel fatto che la Basilicata è piccola e con scarsa densità! E Medicina, dal canto suo, può essere anche un modo per fermare l’emorragia di giovani, le nostre energie migliori che vanno via. Questa dovrebbe essere la preoccupazione maggiore delle classi dirigenti!

D: La canzone?

R: Adoro De Gregori, e quindi direi “La Storia siamo noi”.

D: Il libro?

R: Ultimamente ho letto un testo bellissimo, che mi ha fatto scoprire un collega: “Da animali a dei”, di Noah Harari.

D: Fra cent’anni all’Unibas scoprono una targa a suo nome...

R:...nooo, spero di no...vorrebbe dire che...

D: Ho detto “tra cent’anni”.

R: Sì, ma perché porre limiti alla Provvidenza?! (ride)

D:...cosa le piacerebbe ci fosse scritto?

R: Non credo di meritarla, ci sono tanti colleghi più bravi di me. Credo che ciò che ci accomuna tutti è l’amore per i giovani e la propensione e trasmettere ciò che abbiamo imparato. E po’, sarà una banalità, ma c’è l’amore per questa terra, una cosa ovvia per chi c’è nato, ma una conquista graduale e inevitabile, per chi ci viene a vivere.