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di Antonella Sabia

 

Il 27 dicembre passerà alla storia come il V-day, giornata simbolo della lotta contro il Covid, in cui sono stati somministrati i primi vaccini, contemporaneamente nelle regioni italiane, e in alcuni paesi europei. Anche in Basilicata sono arrivate le prime dosi, e sono stati infermieri, medici e oss del San Carlo a sottoporsi alla vaccinazione. Primo tra tutti, il tarantino Felice Arcamone, triagista del Pronto Soccorso di Potenza, e una missione: dedicarsi al prossimo con abnegazione, formazione continua e aggiornamento. Amare il proprio lavoro, del resto, è il miglior modo per affrontarlo ogni giorno.

D: Questo vaccino è una luce dopo mesi di buio. Quali sensazioni l'hanno accompagnata nei giorni precedenti e la mattina del 27?

R: Il giorno prima sono stato di guardia e ho provato le sensazioni che ci pervadono da qualche mese, ossia la paura quotidiana nell’affrontare i pazienti positivi, e quelli che potrebbero esserlo. Domenica mattina ho vissuto la grande gioia di poter finalmente affacciarmi a quello che dovrebbe essere, grazie a Dio, la risposta al Covid.

Il suo è stato un SI convinto sin da subito?

R: Assolutamente sì, la convinzione nasce dal fatto che avere a disposizione un’arma che possa porre fine alla pandemia. Non ci sono ad oggi altri mezzi, se non le terapie, una volta che qualcuno viene attaccato dal virus. Quindi la possibilità di avere un vaccino che risolva in maniera totale la problematica pandemica è assolutamente da sposarsi con un sì più che convinto.

D: In questi giorni stiamo leggendo molto scetticismo anche da parte di operatori sanitari delle RSA, in diverse parti del Paese. Qual è il motivo secondo lei?

R: Il nuovo viene sempre visto con la paura che qualcosa potrebbe non funzionare. Noi siamo dei sanitari ed è nostro dovere cercare la soluzione a quelli che sono i problemi della sanità, e oggi la pandemia rappresenta un problema enorme. In qualità di sanitari non si possono avere delle remore alla possibilità di approcciarsi ad una terapia vaccinale che ha una sostanziale importanza. Solo chi non si documenta in maniera attenta può avere dei dubbi.

D: In questi mesi avete sacrificato i vostri affetti, la famiglia, e nel suo caso anche un figli piccolo. Come è stata la sua esperienza?

R: Molto triste, ho trascorso quasi quattro mesi lontano da casa, lontano da un bimbo di tre anni, e anche da mia moglie. Significa non poterli vivere, sono stati quattro mesi di buio nella vita della mia famiglia che nessuno mi ridarà. È anche per questo che credo che solo con il vaccino si possa riaccendere una luce.
Vaccinarsi è anche questo, in un certo senso poter tornare a stare con i propri cari con meno ansie, poter approcciarsi e curare i pazienti con maggiore tranquillità e meno timori.

D: Come hanno vissuto sua moglie e suo figlio questi 4 mesi di assenza?

R: Mia moglie è parte del personale sanitario quindi ha vissuto come me la situazione Covid, a mio figlio abbiamo detto che lavoravo fuori e che sarei dovuto stare via qualche mese senza tornare a casa. Facevamo costantemente delle videochiamate, quando ci siamo rivisti per la prima volta ha avuto un attimo di titubanza, ma poi si è sciolto in un abbraccio che non dimenticherò mai. Sono stati dei momenti davvero difficili.

D: Infermieri, OSS, medici impegnati in questa battaglia, durante il primo Lockdown erano stati etichettati come “eroi”, in questa seconda fase spesso e volentieri si è sentito parlare di “untori”. Ha vissuto sulla sua pelle questa sensazione, è stato mai guardato con occhi diversi?

R: Mi è successo spesso di essere guardato in maniera “strana”, ma credo che molto faccia come ci si sente personalmente. Sapere di fare il proprio dovere, e di farlo al meglio, allontana qualsiasi spettro di paura. Purtroppo si sa, capita che la gente passi dall’osannarti a gettarti nel fango in poco tempo, bisogna non tenerne conto e andare avanti per la propria strada. Solo così si può lavorare tranquilli, altrimenti si inficia quello che è il nostro sforzo quotidiano.

D: C’è un’immagine, un momento, di questi mesi che più le è rimasto impresso?

R: Sì, una nonnina che ci ha visti approcciarci a lei tutti bardati, poiché positiva al Covid, e mi chiese “Io mi sono lavata ieri, perché siete vestiti così?”. Mi ha toccato profondamente, ovviamente non aveva colto la problematica che avesse, ma ci ha voluto sottolineare che era venuta in ospedale pulita, se pur con qualche problema sanitario.

D: C’è stata molta difficoltà a far comprendere questo abbigliamento, l’uso dei dpi, nonché le procedure da rispettare?

R: La difficoltà persiste tuttora, anche se molti pazienti fingono o credono di non capire perché ci avviciniamo così. È vero che man mano che il tempo passa, si comprende anche la nostra necessità di difenderci, ma alcuni tuttora fingono sui sintomi, dicono e non dicono, omettono la possibilità di avere avuto contatti, ci troviamo ancora in una situazione abbastanza complicata.

D: Oggi qual è la situazione del Pronto Soccorso?

R: In alcuni casi c’è gente che ancora viene in ospedale, senza sintomi, pensando di poter fare un tampone. L’uso del pronto soccorso in questo caso è ancora ahimè sbagliato, il PS serve per l’emergenza-urgenza. Purtroppo la medicina di base non ci aiuta molto e dobbiamo far fronte anche a queste richieste.

D: Prima di questa pandemia, vi era un grande afflusso in PS anche per sintomatologie minime, si sono ridotti quei numeri?

R: C’è stato un grosso calo delle percentuali di afflusso nei mesi tra marzo e maggio, adesso sono aumentati gli accessi, seppur non in maniera preponderante. Oggi la gente sembra avere meno paura di approcciarsi all’ospedale, e quindi anche per problematiche minime vengono in Pronto Soccorso.

D: Cosa si sente di dire a chi oggi è scettico sulla vaccinazione?

R: Pur avendo il massimo rispetto di chi è scettico o ha paura, invito a informarsi in maniera puntuale su quella che è la possibilità vaccinale, a pensare a qual è la possibilità che abbiamo tra le mani per sconfiggere la pandemia. Non avere un numero di vaccinati sufficienti e non poter rispondere al Covid, significa continuare a far fronte alle morti, ai problemi economici. Anche questo dovrebbe indurre le persone a fare un’attenta valutazione e prendere una giusta decisione, cioè quella di vaccinarsi.