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di Walter De Stradis

 

Sessantadue anni, voce molto tenue, pizzetto e “cresta” grigio bianchi, Vincenzo Baldassarre è consigliere regionale di maggioranza (eletto con Idea). Di professione fa il medico chirurgo. E’ il cognato del compianto Giovanni De Blasiis, l’uomo che denunciò gli intrecci fra massoneria e politica locale.

D: Come giustifica la sua esistenza?

R: Mi sento felice e realizzato. Se guardo ai miei natali, devo dire che la sorte mi ha riservato un trattamento speciale. Erano gli anni 50, in molte case non c’erano ancora la tv e il bagno, ma per chi aveva voglia di migliorarsi c’erano delle buone opportunità. Dopo vent’anni di attività amministrativa nel mio paese (San Chirico Nuovo), di cui tredici da sindaco, mi è sembrato giusto uno dei pochi atti di egoismo che mi sono concesso, candidarmi alla Regione. Lo scopo era ed è quello di portare la mia esperienza di medico (trentasei anni) e come dicevo, da amministratore. Sono stato eletto con “Idea”, e facendo un po’ di calcoli, su duemila pazienti, ho preso 1300 voti.

D: Quindi in settecento non l’hanno votata. La preoccupa questa cosa?

R: No, mi piace invece.

D: Vorrei commentare con lei alcuni passaggi di un suo recente comunicato stampa sul Covid, in cui afferma: «Dare importanza al numero dei contagiati non rappresenta un granché anche in considerazione del fatto che cambia in riferimento al numero dei tamponi effettuati. Andrebbe considerato il numero dei deceduti per solo Covid, in assenza di altre patologie, solo questo potrebbe dare il vero indice di pericolosità del virus in questione. Perché non lo si fa?».

R: Se avessimo dato lo stesso risalto e lo stesso tipo di conteggio ad altri tipi di infezione, forse avremmo GIA’ parlato di “pandemia”. Le statistiche ISTAT del 2019 e del 2020 ci dicono che nel numero di morti dei primi tre mesi non c’è nessuna differenza. Fa eccezione una sola provincia (con un aumento incredibile), quella di Bergamo: in tutto il resto d’Italia la mortalità si registra negli stessi “range” degli anni precedenti. Anzi, nel trimestre attuale è addirittura lievemente diminuita. I numeri dicono una verità assoluta. Sia chiaro, il virus ESISTE e nell’epoca della globalizzazione è più facile esportarlo, ma i flussi influenzali ci sono sempre stati: anche negli anni scorsi prendevano piede in una zona e poi si espandevano negli altri Paesi.

D: E quindi secondo lei…

R: Aspetti. Non sto scoprendo l’acqua calda. Con la vita di oggi è più facile trasmettere la “positività”, altra cosa è la “malattia”. Il numero dei malati, pertanto, non viene conteggiato nella maniera migliore. Il virus esiste, non sono un negazionista, ma se lo avessimo affrontato con le armi giuste, non ci troveremmo in questa situazione.

D: E quali sarebbero le armi giuste?

R: Prendiamo la differenza fra ciò che accade in una grande città e in un piccolo paese, ove ancore esiste una buona medicina di base, di famiglia, ovvero quella “di prima frontiera”. In questi paesi è difficile che un paziente, con trentotto di febbre, se ne vada al pronto soccorso senza consultare prima il medico (almeno prima non accadeva). E quindi in questi paesi è già il medico di famiglia a gestire un primo step, un primo filtro affinché una qualsiasi febbre (e non sono tutte da coronavirus in questo periodo), vada a finire in ospedale. Se tutto ciò funzionasse anche nelle grandi città…

D: Infatti lei dice ancora: «La medicina di famiglia deve essere il vero argine, a monte, per decongestionare le strutture ospedaliere».

R: Uno dei primi morti da Coronavirus –e mi dispiace tantissimo- è stata una signora di 82 anni ed era una mia paziente. Il suo contagio è collegato a quello che fu il focolaio di Ginecologia. E’ morta, perché, soggetto a rischio, non l’abbiamo saputa proteggere, tenere lontano dal contagio. Tutti gli altri familiari sono guariti. Quindi, se noi ci concentrassimo, veramente, nel tenere separate le cosiddette “fragilità”, la controlleremmo meglio la malattia.

D: «La malattia purtroppo incide mortalmente soprattutto su determinate categorie di persone definite "fragili"; ragion per cui le misure di prevenzione/protezione andrebbero calibrate per queste categorie».

R: Si doveva separare la mamma e il papà dal paziente, quella sarebbe stata la soluzione migliore. Se io medico lavoro in un ospedale, o in un studio, devo sapere già in partenza che la visita a mia madre la devo fare IN TOTALE sicurezza: queste persone definite “fragili” andrebbero non isolate, ma tenute lontane dalle situazioni di contagio.

D: «Aiuterebbe e non di poco –prosegue- ragionare con buon senso sull'uso/abuso dei test». In città si vedono file di persone presso i laboratori privati…

R: Oggi abbiamo i vari tamponi e i vari sierologici. Essendo un medico, ogni volta che registro un contagio devo fare subito -e lo faccio- un tampone, ma in realtà, lei sa bene che se ci fosse un contagio, per verificarlo, io il tampone lo dovrei fare dopo otto-dieci giorni, dando al virus il tempo di incubazione necessario. Tanto più se faccio il tampone senza avere sintomi… non troverò niente; ma nel frattempo magari i contatti continuano e qual è il “decimo” giorno giusto? Questo per dire che stiamo facendo corse verso i tamponi non tutte le volte che ci servono.

D: Venendo al piano più prettamente politico, sono state diverse le polemiche sulla gestione della pandemia da parte della Regione e del Governo. E’ fresco di stamattina (mercoledì – ndr), un comunicato stampa di Robertucci, presidente dell’Ordine degli Infermieri di Potenza, secondo la quale: «Poco è stato fatto in questi mesi per intervenire seriamente sulle gravi carenze di professionisti sanitari, portate alla luce da questa crisi sanitaria senza precedenti. Non è un caso se abbiamo subito il triste primato del 47 % dei contagiati sul totale dei casi in Sanità, visto che il personale spesso è stato costretto a operare in scarsità di dispositivi di protezione individuale adeguati a garantire la sicurezza».

R: Possiamo giudicare, perché conclusasi, solo la prima fase dell’epidemia. La Basilicata l’ha gestita bene, ma i meriti ce li ha anche il Padreterno che ha un po’ risparmiato il Sud. E’ vero, la prima ondata ha completamente risparmiato il personale del San Carlo, mentre in questa fase è diventato un problema. Se abbiamo sbagliato qualcosa lo vedremo alla rendicontazione degli aventi, ora dobbiamo solo cercare di correggere eventualmente le cose che non vanno bene.

D: Però sull’ospedale del Qatar si è dormito un po’. Ricordo che a maggio c’era persino chi diceva, sui social e non solo, “adesso che ce ne facciamo?”. Oggi, in piena emergenza, ci ritroviamo coi capannoni vuoti e ci tocca prendere i soldi da qui e da lì. Ci siamo accorti che è stata quasi una “sòla” quella del Qatar…

R: Walter, tutto il mondo è paese. Anche in Lombardia prima hanno fatto l’ospedale nell’ente fiera e poi sono partite le inchieste sulla sua inutilità. Diciamo pure che come fai fai, un po’ la sbagli. Il fatto è semplice, il Qatar ha donato solo le strutture, senza attrezzature, e in quel momento è stata fatta la scelta, forse non idonea, di non attrezzarle.

D: Tornando ai comunicati “freschi”, l’ex presidente del consiglio regionale, attualmente esponente di Venosaduemilavenntiquattro, Franco Mollica, ha dichiarato: «Proprio in quanto prevista e prevedibile questa attuale fase, ci si chiede perché chi guida la Sanità in Regione (rincorrendo le chimere del tutto a posto) non ha utilizzato la “tregua” dei mesi estivi per programmare ieri al fine di non dover ricorrere a decisioni improvvisate ed estemporanee oggi?».

R: Non c’è che dire, le critiche colpiscono nel segno, perché i risultati sono questi. Si poteva fare meglio. Se posso fare un inciso, dopo quarant’anni ha vinto il centro-destra…

D: Sì, la storia del “dateci tempo”...

No, no, non volevo dire questo. Non mi appartiene. Entrando in Consiglio, subito notai che nessuno dei tredici eletti consiglieri del centrodestra aveva esperienza a quel livello. Tre persone, Cupparo, Leone e il sottoscritto, avevano fatto il sindaco nel proprio paese, ma la macchina amministrativa regionale è ben altra cosa. Avevamo vinto le elezioni, grazie alla Lega, con un candidato Governatore che ha sfruttato la sua personalità, la sua dote morale, ma che non era nemmeno lui un politico…

D: E quindi?

R: E quindi siamo entrati, improvvisamente, tutti in punta di piedi, con nessuno convinto o sicuro di come si amministrasse questa regione. Siamo entrati in un apparato che per quarant’anni ha visto quei dirigenti, quelle persone, formati comunque con un certo tipo di mentalità. Il primo problema che abbiamo trovato, improvvisamente, era una carenza di personale pazzesca: negli anni passati non si è fatto un piano per tutto il personale che manca. E manca dappertutto, nell’ospedale…

D: … Bardi però ha fatto queste “iniezioni” di dirigenti napoletani, o comunque provenienti dalla Campania.

R: Il Presidente è lui e certe decisioni spettano a lui, l’importante sono i risultati. E poi, nell’epoca della globalizzazione, andare a guardare se uno è campano o pugliese… E poi in Basilicata non abbiamo tutte le professionalità che ci servono, siamo la prima regione che esporta “cervelli”. Io sono padre di due figlie che lavorano al Nord.

D: Quindi non c’erano Lucani capaci di fare, che so, il Capo di Gabinetto?

R: Non ho detto questo. Non è un problema che ho affrontato direttamente io, però se un giorno mi venisse concesso di fare –che so- l’assessore, io farei una squadra di Lucani, su questo non c’è dubbio.

D: Le piacerebbe fare l’assessore alla sanità.

R: (Sorride). Di Rocco Leone ho molta stima.

D: Non gli tiriamo l’orecchio proprio su nulla?

R: Ho un buon giudizio. E’ una persona buona.

D: Al presidente Bardi, sottobraccio, quale consiglio si sente di dargli?

R: Di esercitare la sua prima dote, quella di conoscitore di uomini. Non so se è un politico o se lo diventerà, ma da Generale sotto di sé aveva 80mila persone…

D: Ma nelle forze armate è una cosa, visto che sono OBBLIGATI a dirti sissignore, in Regione è un’altra.

R: Sì, ma magari ha abituato l’occhio. Bisogna dargli un po’ di tempo.

D: E quindi, questo consiglio, anche da medico?

R: Di guardare dentro la nostra squadra, perché C’E’ l’energia per ripartire.

D: E quindi per fare un rimpasto di giunta.

R: (Sorride). Diciamo che c’è l’energia per ripartire, sì.

D: A proposito di “rimpasti di Giunta”, lei che è di IDEA, come ha vissuto la vicenda di Marika Padula, sacrificata sull’altare del bonus dei 600 euro percepito (anche se il Movimento nega?).

R: Il partito s’è dato questa linea e va rispettata. L’ FCA ha avuto sei milioni di euro, quindi se un medico, un avvocato o un architetto ricorre al ristoro fornito dal suo ordine, ed è un politico, perché il discorso deve cambiare se lo fornisce l’Inps?

D: Ma non è l’ente erogatore che fa la differenza.

R: Volevo dire che sono tantissimi i politici, anche al Parlamento, che hanno usufruito del bonus.

D: Quindi secondo lei non andava sacrificata?

R: Io mi sono attenuto alla linea del mio movimento, com’è giusto che sia. Anche se non appartengo a un partito nel senso tradizionale (fosse per me, sarei fermo ad Almirante).

D: Il film che la rappresenta?

R: “Qualcuno volò sul nido del Cuculo”. L’elogio della diversità, non della pazzia.

D: La canzone?

R: “E tu” di Claudio Baglioni. Mi ha fatto conoscere mia moglie.

D: Il libro?

R: Non sono un grosso lettore, ma direi “Un eroe borghese”, sull’uccisione dell’avvocato Ambrosoli. E’ la dimostrazioni di come si può essere eroi, da persone miti ed umili.

D: “Eroi”, un termine molto usato in questi tempi di pandemia. Oggi chi sono gli eroi della Basilicata?

R: Le persone che devono affrontare la vita di tutti giorni e non hanno di che andare avanti.

D: Fra cent’anni cosa vorrebbe fosse scritto sulla sua lapide?

R: Non ho un buon rapporto con la morte e ho difficoltà ad andare al cimitero. Quindi preferisco non pensarci.