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di Walter De Stradis

 

Ci riceve nella cucina della canonica, anche se raramente pranza lì, dovendo assistere l’anziana madre al suo domicilio. Don Donato Lauria, dall’inconfondibile e rotonda faccia occhialuta, è da sempre il parroco della Chiesa di Maria Santissima Immacolata di rione Cocuzzo a Potenza. Un “fortino” che, come vedremo, negli anni –e specie di recente- ha dovuto via via adattare la qualità e il tipo dei suoi interventi ai tempi che cambiano.

D: Come giustifica la sua esistenza?

R: Credo che la vita sia già di per sé uno scopo, quello di impiegarla per qualcun altro. E quando scopri di avere una vocazione particolare, innanzitutto la realizzi, e quindi scopri di essere prete ed essere felice.

D: Se non ricordo male lei è diventato sacerdote quando era già grandicello.

R: Grazie per non aver detto “quand'era già vecchio”. (risate) Sono entrato in seminario quando avevo trentacinque anni, ma la mia storia, la mia vocazione, inizia già quand'ero ragazzino nel cortile dei salesiani. Tuttavia le vicissitudini della vita mi hanno portato a dover procrastinare questa scelta, perché io ho perso papà molto giovane (pensi, tre giorni prima del matrimonio di mia sorella), e quindi fui costretto a non seguire subito la mia vocazione. Dovevo portare i soldi a casa, c'erano altre due sorelle da sposare e io sentivo forte questa responsabilità. Misi quindi da parte quei miei progetti e avviai l'attività della Ermes Libraria, che nacque da una mia intuizione: una libreria intesa come fucina di eventi culturali ed artistici.

D: Lei ha detto di essersi fatto le ossa nel cortile della parrocchia di Don Bosco, che si trovava (e si trova) nel cuore di una zona di Potenza, immediatamente alle spalle del Cep, all’epoca sicuramente problematica. I cosiddetti “quartieri difficili” di oggi come sono rispetto a quei tempi?

R: Le difficoltà sono diverse. Lei ha nominato il Cep, ricordo che ne avevamo terrore, ma sono cose che abbiamo dovuto affrontare con responsabilità. Venti/trent'anni fa, i problemi legati ai giovani, alla mancanza di lavoro etc. non ci facevano però paura, perché erano più semplici da affrontare: allora avevi le famiglie dalla tua parte.

D: Oggi non è più così?

R: Se dobbiamo dirla tutta, oggi le famiglie sono lontane dai propri figli. Hanno delegato moltissimo ad altre istituzioni, de-responsabilizzandosi, e questo è un problema serio. Non direi che i ragazzi si sentono abbandonati, ma certo i genitori oggi non sono più un perno per la loro vita sociale. Se oggi il Capo del Governo chiama Fedez come “testimonial” per i giovani, vuol dire che i genitori non hanno più la stessa presa di un tempo.

D: E queste problematiche sono ancora più vere in un quartiere come questo?

R: Questo non è un quartiere diverso dagli altri.

D: Glielo chiedo perché, come sa, spesso rione Cocuzzo viene indicato come “quartiere problematico” di Potenza, assieme a Bucaletto... i nomi sono sempre quelli. Oggi è solo un luogo comune?

R: Sono vent'anni che rispondo a domande come questa. Cocuzzo, spesso ancora definito come “Il Serpentone”, non è più il quartiere di vent'anni fa, cioè quello degradato, senza servizi, incapace di fornire elementi educativi. Oggi non è differente da altri quartieri anche perché la parrocchia, innanzitutto, è un centro propulsivo, di aggregazione, di educazione; con la nascita sua e dell'oratorio siamo riusciti a entrare in quelle dinamiche familiari degradate, cercando in tutti i modi -e ci siamo riusciti- di fornire strumenti per elevarsi. Oggi possiamo dire che in questo rione c'è tutto per quanto riguarda i servizi e una presenza educativa che non è certo solo la parrocchia (ma anche le diverse associazioni attive e presenti); ma c’è anche la presenza di una consapevolezza maggiore, da parte delle famiglie, di riscattarsi. In vent'anni questo riscatto c'è già stato, ma è chiaro che adesso sussistono quel tipo di problematiche che troviamo dappertutto e che in un certo senso sono tornate alla ribalta. Prendiamo l'alcolismo tra i giovani: se vent'anni fa riguardava quelli dai 17 anni in su, adesso siamo scesi ai 12-13 anni.

D: Anche per quanto riguarda la droga?

R: Mmm, direi che, “esteriormente”, questo problema non lo viviamo più. Cioè, mi ricordo vent'anni fa...

D:..le famose siringhe...

R: Mamma mia. Le andavamo a raccogliere (con tutte le precauzioni) e stavo sempre a chiamare sindaco e assessori affinché “bonificassero” certe zone, ed erano tantissime...

D: E oggi?

R: Oggi, ripeto, almeno “visibilmente” questo problema non ci sta. Se c'è ancora, vuol dire che in qualche modo ci si è “evoluti” con luoghi diversi e non più con le siringhe... con droghe diverse.

D: La cocaina?

R: La cocaina, sì, anche se io non ho notizie che in questo quartiere quel tipo di problema sia eccessivamente evidente.

D: Effetti della pandemia a parte, da qualche anno ormai, in tempi di crisi economica globale, le parrocchie di quartiere sono diventate anche dei presidii per la lotta alle povertà, specie quelle nuove. So di parroci che pagano le bollette dei loro fedeli... Qui com'è la situazione?

R: Ovviamente la pandemia ha acuito questo problema, ma ci sono anche i “nuovi poveri”, che sono i giovani, o i padri che si sono separati dalle mogli. Sì, c'è un cambio di “qualità” nella povertà. In questi tempi di Covid noi siamo intervenuti, sia come Caritas diocesana sia come parrocchia: abbiamo aumentato del 150% il nostro intervento a favore delle famiglie povere.

D: Quali sono i servizi che offrite?

R: Si va da quelli che diceva lei, il pagamento delle bollette, ma anche ai soldi veri e propri, perché mancano i soldi per fare la spesa. Qui siamo organizzati bene, la Caritas funziona anche da noi da vent’anni e tenga presente che in questi ultimi mesi, attraverso il Fondo di solidarietà per l’emergenza Coronavirus, la Caritas ha dato alle parrocchie un plafond di circa 40mila euro –che abbiamo totalmente speso- per interventi anche su aziende, negozi e attività artigianali in difficoltà. Siamo quindi intervenuti sul pagamento dei fitti, delle bollette della luce. Diversamente ci sarebbe stato il fallimento di tantissime aziende, e invece così siamo riusciti a risollevarle (anche se non so quanto potrò durare questa cosa, con la recrudescenza del Covid).

D: Qual è stato il momento peggiore del periodo riferibile al Lockdown (sperando non ce ne sia un altro) e dintorni, considerando anche che ci furono tutte quelle dure restrizioni su funerali, messe, rendendo la vita doppiamente difficile a voi sacerdoti.

R: Per quelli che considerano la parrocchia come un’azienda, noi apparteniamo a quelle in difficoltà: abbiamo rischiato il fallimento. Ma anche in questo, ovviamente, siamo stati sostenuti dalla Cei (presumo ci siano stati anche dei contributi dati dalla Regione alle diocesi), e il vescovo ci ha aiutati, questa parrocchia in particolare, come si trattasse di una qualsivoglia famiglia trovatasi nell’impossibilità di pagare la luce. Anche perché questa è la chiesa più grande, con 232 posti a sedere attualmente, ma recentemente non abbiamo mai avuto il “pienone”. Ne consegue che le offerte sono notevolmente diminuite, non certo per l’ingenerosità della gente, ma perché le luci, o le accendi per mille persone o per dieci, sempre quel costo hanno.

D: Quale “penitenza” diamo agli assessori che hanno percepito il bonus di 600 euro? O li perdoniamo e basta?

R: Il perdono c’è sempre, ovvio, ma certo è che questa situazione ha fatto sì che nella gente ci fosse un giudizio poco “sereno” nei confronti di chi ha percepito questo bonus quando avrebbe potuto rinunciarvi. Un amministratore dovrebbe pensarci dieci volte, ma capisco anche che in un momento di grande crisi e confusione uno possa cedere alla tentazione, ma ritengo che moralmente una riflessione andava comunque fatta.

D: Avrebbero dovuto dimettersi?

R: Non entro nel merito, anche se le dimissioni più che chiederle… si danno. Uno può sbagliare, ma anche correggersi e quindi direi…

D: …non flagelliamoli.

R: Sì, anche perché chi è senza peccato, in queste cose, scagli la prima pietra.

D: Se potesse prendere il sindaco Guarente sottobraccio cosa gli direbbe?

R: Io sono appassionato dei giovani (e dei loro problemi) e questa è una bella città. E lo dice anche chi viene da fuori. Tuttavia direi al sindaco che qui -città capoluogo di regione- mancano i servizi. Non si può impiegare mezzora da Tito e Potenza; non si può impiegare un’ora e mezza da Sicignano, perché l’unico raccordo stradale è un continuo cantiere. Questa è poi una città con università, ma non è una città universitaria. Occorrerebbero a tale scopo la qualità e i servizi: e invece mancano piscine, palestre, il verde attorno all’Università, i luoghi di aggregazione culturale, una biblioteca fornita e aperta sempre. Per non parlare dei fitti per gli universitari che sono altissimi…

D: Ma i fitti dipendono dal sindaco.

R: Sì, ma al sindaco gli farei fare il consueto giro per fargli notare che il verde va curato sempre, non una volta ogni tre mesi, che quelle poche strutture che abbiamo per l’aggregazione e il divertimento vanno aperte e presidiate, sia dal punto di vista educativo che amministrativo. Non basta “aprire” un campetto. C’è poi il discorso lavoro: non è il sindaco che deve darlo, ma deve creare i presupposti, affinché aziende e commercianti non chiudano.

D: La canzone che la rappresenta?

R: Sono un appassionato degli anni Sessanta. Fra mille, direi “C’era un ragazzo” di Gianni Morandi.

D: Il libro?

R: Anche questo è difficile, ma posso dire che mi leggerei cinquantamila volte “I Promessi Sposi” o “L’Inferno” de “La Divina Commedia”.

D: Il film?

R: Non vado al cinema da una vita e non guardo la televisione da una vita (a parte il tg).

D: Fra cent’anni scoprono una targa a suo nome in questa parrocchia. Cosa le piacerebbe ci fosse scritto?

R: «Innamorato del quartiere e del futuro dei giovani».