tarcisio_manta.jpg

 

di Antonella Sabia

 

Nasce a Potenza nel 1936, e sin da bambino sente una grande attrazione verso la Fede. Padre Tarcisio Manta, ha però anche una grande passione per la pittura e il disegno, che lo porta a studiare all’Accademia di Brera e ad apprendere nuove tecniche artistiche relative a vetrate, mosaici, affreschi e sculture.

Lo abbiamo contattato per farci raccontare il percorso di fede e artistico che lo ha visto all’opera anche in Brasile, nel salernitano e in diverse chiese della nostra città.

D: Come si è avvicinato alla fede?

R: Ero molto seguito dalle mie zie, appartenevo alla parrocchia di San Gerardo, avevo formatori meravigliosi come Don Francesco Colucci e Don Peppino Spera.

D: Di quali anni stiamo parlando?

R: Intorno al 1947-48, avevo circa 8-9 anni, così è nata la mia idea di farmi prete. Un’idea un po’ poetica, guardando il sacerdote che teneva l’ostia in mano. Era qualcosa di indescrivibile per un ragazzo di quell’età, non in grado di darsi delle spiegazioni. Sono ragioni interiori, nascoste.

D: Il suo percorso formativo seminariale dove lo ha compiuto?

R: Avevo già deciso di andare in seminario, poi invece pensai di entrare nei francescani perché conobbi un frate che non mi ha mai invogliato ad altro percorso, era gioioso, spesso mi dava anche “fastidio” la sua gioiosità. Non avere niente ed essere felici, anche questo mi ha toccato. Decisi di entrare nel collegio dei frati di San Francesco a Potenza, poi ho continuato il mio percorso di liceo e teologia a Nocera Inferiore, in una scuola meravigliosa con professori eccellenti. Sono diventato sacerdote con l’intenzione di fare qualcosa che interessasse tutti e non coinvolgesse solo me.

D: Lei ha una grande passione per il disegno, la pittura, i mosaici e le vetrate.

R: Fin dalle scuole elementari ho avuto questa passione, qualche mio collega mi disse che avevo lasciato dei paesaggi e altri dipinti nella scuola, non lo ricordavo. Durante questo percorso di preparazione al sacerdozio, tramite un mio confratello musicologo, ho avuto contatti con un professore di Salerno, un certo Domenico Trasi, e poi con la Messa degli Artisti, e ho continuato a seguire la mia passione. Dopo l’ordinazione e la licenza in teologia, i miei superiori mi permisero di continuare a studiare, perciò ho frequentato l’Accademia di Brera a Milano seguendo gli insegnamenti del maestro Domenico Cantatore.

D: La sua storia parla anche di un viaggio in Brasile.

R: Sì, li ho lavorato in diverse chiese che esigevano di trasformazioni ordinate in seguito al Concilio Vaticano II, quando la messa iniziò ad essere frontale, quando ci fu un nuovo modo di assistere e partecipare all’eucarestia, legato all’esigenza di creare l’altare e la mensa della parola.

D: Ha lavorato anche nelle Chiese potentine.

R: Il presbiterio a Santa Maria è un mia creazione, adattata alla nuova esigenza liturgica. L’ultima chiesa che ho trasfigurato è stata quella di San Giuseppe Operaio, creando nuovi spazi, stravolgendoli e adattandoli. Sono intervenuto in maniera globale anche sulle vetrate. Le ultime opere le ho fatte a Baronissi, con interventi nell’arredo liturgico, in particolare nella chiesa di Santa Maria di Costantinopoli dove ho realizzato mosaici e vetrate.

D: Nella chiesa di Santa Cecilia a Potenza c’è stata a lungo una sua croce dipinta.

R: Ho lavorato a Santa Cecilia quando c’era Don Pinuccio Lattuchella, poi succede che arrivano dei giovani che iniziano a trovare strane le mie cose, e quindi quel crocifisso è stato rimosso, così come è stato trasformato anche l’altare che avevo ammodernato. Posso dire che sono molto deluso. Scorgo un po’ di presunzione e di protagonismo in giro. Ogni diocesi a mio parere dovrebbe eleggere un gruppo di architetti e liturgisti che vigilino sulle trasformazioni ed eventualmente intervengano, sempre in corrispondenza alle esigenze della liturgia, non alle richieste dei parroci. Purtroppo nella nostra diocesi spesso non accade, si crede che queste trasformazioni siano solo frutto della fantasia e non, invece, della necessità di guidare il popolo di Dio verso una miglior comprensione di quello che si celebra.

D: In conclusione, stiamo vivendo un periodo particolare, emergenza sanitaria, distanze fisiche e dispositivi di protezione hanno cambiato un po’ le nostre vite. Lei come ha vissuto questo momento?

R: Io vivo in una comunità francescana di cinque persone, Abbiamo sentito il bisogno di sentirci protettori, di diventare cura l’uno per l’altro. Sentivamo l’esigenza di incontrarci a pranzo e cena, per discutere seguire le cronache dell’Italia, oltre a quelle locali. All’inizio forse eravamo un po’ spaesati, più che spaventati, ma poi abbiamo vissuto tranquillamente la realtà. Io ho dipinto molto, ho passato il tempo registrando delle situazioni della storia che stavamo vivendo, che ho mostrato agli amici più vicini. Mi sono soffermato, per esempio, sulla morte solitaria, drammatica, una solitudine abitata dalla presenza di Cristo. Alcune immagini sono state anche pubblicate su una rivista medica di Mercato San Severino, grazie alla conoscenza personale di un medico meraviglioso, anziano, ma colto e aperto al dialogo.