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di Walter De Stradis

 

 

Luciano Florio è un energico giovane quarantaduenne potentino che lavora presso la Ragioneria Territoriale dello Stato. Il 4 luglio è stato rieletto Presidente della Sezione Territoriale di Potenza dell’UICI - Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti.

D: Come giustifica la sua esistenza?

R: Se realizzo qualcosa con gli altri e per gli altri, mi sento realizzato anch’io.

D: Quando è entrato nell’UICI?

R: Io sono ipovedente, affetto sin dalla nascita da retinite pigmentosa. Sono entrato in associazione nel 1997 e dal 2000 faccio parte del Consiglio. Gli iscritti per la provincia di Potenza sono 190, la nostra sede è a Potenza in Corso Garibaldi. Facciamo tutta una serie di attività, aderendo alle varie manifestazioni e cartelloni sul territorio, allo scopo di farci conoscere. Abbiamo infatti verificato, purtroppo, che alcuni ignoravano del tutto la nostra realtà, nonostante si tratta di una delle associazioni “storiche” (come l’Ens per i sordi, ad esempio). Tra l’altro quest’anno compiamo i cento anni.

D: Immagino fossero in programma tutta una serie di eventi celebrativi.

R: Sì, avevamo anche già iniziato, poi il Covid ha bloccato tutto. La Presidenza nazionale aveva avviato una serie di eventi itineranti, la tappa di febbraio è avvenuta da noi. In quell’occasione abbiamo allestito in Piazza Prefettura “Il Bar al Buio”, venuto dalla Sicilia.

D: Di cosa si tratta?

R: E’ un pullman di cinquantaquattro posti trasformato in bar, in cui il vedente può consumare un caffè o altro, al buio, e quindi provare ad usare altri sensi. Molte volte, infatti, chi ci vede bene utilizza SOLO la vista (sorride). A questo scopo noi organizziamo anche cene e aperitivi al buio.

D: Quindi non è un modo per far immedesimare i vedenti…

R: No, infatti. Questo è importante. Il nostro è un invito a provare altri sensi e altre sensazioni. Se lei osserva il modo di fare dei bambini, ad esempio, noterà che spesso rifiutano una pietanza solo per l’aspetto che ha, senza assaggiarla. Lo stesso vale per gli adulti.

D: Giudicano il libro dalla copertina.

R: Esatto. Oppure le persone dall’aspetto. Non si ascolta, non si giudica il carattere.

D: Lei cosa ha trovato e cosa sperava di trovare iscrivendosi all’UICI?

R: L’iscrizione a un’associazione di questo tipo è innanzitutto un segno di appartenenza. Io cercavo e ho trovato una famiglia, nella quale ogni problema viene condiviso e si cerca insieme una soluzione in uno spirito di solidarietà. E poi, c’è un aspetto da non sottovalutare: quando c’è da discutere, o aggiustare cose o norme a livello governativo, beh, far parte di un’associazione importante può avere un certo peso in fase di discussione. E’ chiaramente una forma di tutela. E più si è, meglio è.

D: Dell’associazione fanno parte anche i familiari di non vedenti o ipovedenti?

R: Certo, abbiamo il comitato genitori e i soci sostenitori, ovvero coloro che sostengono l’associazione pur non avendo patologie o parenti non vedenti o ipovedenti.

D: Ricevete finanziamenti pubblici?

R: Tasto dolente. La legge regionale 7 prevede un minimo di contributo alle associazioni storiche a cui accennavamo, ma è più di un decennio che questi soldi, che pure puntualmente vengono messi in bilancio, non arrivano. Non ci danno nulla. A livello comunale non ne parliamo proprio.

D: Anche in quel caso un sostegno è previsto per legge?

R: No, però fino a una quindicina di anni fa qualcosa ci veniva corrisposta comunque.

D: Lei però ha detto che far parte di un’associazione significa anche potersi sedere ai tavoli …

R: … e infatti siamo andati anche dal Difensore Civico. Abbiamo incontrato gli assessori di questa giunta regionale. La risposta è “Non vi preoccupate, stiamo facendo”, ma finora non si è visto nulla.

D: Ma vi siete dati una risposta per quanto accade ormai da anni?

R: No, non ne ho idea. Alla Regione ci è stato detto che dovevano controllare bene le carte, perché in passato alcune associazioni avevano falsificato il numero dei soci e cose così. E quindi hanno dovuto bloccare tutto. Sta di fatto che sono anni e anni che noi non riceviamo una lira.

D: Ma poi questi controlli li hanno fatti?

R: Sì, da noi sono venuti e ovviamente era tutto a posto. E comunque, se è vero che alcuni si sono comportati male, non vedo perché debbano pagarne le conseguenze anche tutti gli altri che fanno le cose in regola.

D: Col sindaco ci ha parlato?

R: Con Guarente ancora no, ma chi c’era prima di lui ci ha detto che col dissesto di mezzo c’era poco da fare. Però devo dire che il Comune ci sostiene comunque nelle nostre iniziative, dandoci il Teatro Stabile gratuitamente…

D: Ma poi vi vengono mai a cercare in campagna elettorale?

R: Qualche politico sì, ma noi non possiamo schierarci.

D: Potenza è una città a misura di ipovedente e non vedente?

R: Assolutamente no. I problemi sono tanti. Se vuole gliene dico alcuni.

D: Sono qui per questo.

R: Cominciamo dal servizio di trasporto urbano. Sui mezzi non esistono numeri elettronici ingranditi, atti a venire incontro, di sera, agli ipovedenti; una “sintesi vocale”, che al momento dell’apertura delle porte dà informazioni su numero di corsa e percorso, manca dai tempi delle Fal (che tra l’altro le usarono poco, perché dissero che davano fastidio agli autisti); a Cotrab poi, chiedemmo incontri a go-go, ma non ci ricevettero mai. Con Trotta non abbiamo insistito più di tanto, dopo le esperienze passate…  

Poi veniamo alla questione marciapiedi. Quando ci lavorano o li ristrutturano ci piazzano in mezzo il classico palo (dell’illuminazione o della segnaletica), un pericolo per noi, ma anche per gli anziani, se ci pensa.

Escrementi degli animali sui marciapiedi: non c’è più controllo. Corso XVIII Agosto, ma anche il Centro vero e proprio, ne sono pieni e camminare con un bastone diventa problematico.

D: Come avete vissuto l’esperienza del Lockdown?

R: Come associazione, per non lasciar soli i nostri soci, abbiamo organizzato settimanalmente incontri virtuali di cucina o di informatica, sulle piattaforme Zoom e Meet; abbiamo creato gruppi whatsapp per risolvere piccoli problemi pratici che potevano presentarsi.

D: Problematiche particolari però non se ne sono registrate.

R: In verità no…

D: …perché i maggiori problemi si hanno quando si è fuori casa.

R: Esatto. A casa ad esempio, la spesa veniva recapitata tramite la Protezione Civile.

D: Se potesse prendere sottobraccio Guarente, o Bardi, cosa gli direbbe?

R: Di porre molta attenzione alla mobilità, perché qui siamo messi male. Il disabile visivo ha bisogno delle proprie autonomie, e anche –sì- di fare una passeggiata da solo, di avere un attimo per sé, insomma. E qui mancano le attrezzature, i percorsi ad hoc e -come le dicevo- anche salire su un bus e andare in via Pretoria diventa impossibile senza accompagnamento.

D: Lei è attivo anche nello sport.

R: Sono delegato regionale della FISPIC, la Federazione italiana sport paralimpici per ipovedenti e ciechi.

D: Un inciso: alcuni ritengono sgradevole la parola “ciechi”, preferendovi “non vedenti”…

R: … non è il nostro caso. La parola “ciechi” ci identifica da sempre, perché non usarla?

D: Ok. Torniamo allo sport.

R: Io pratico lo “showdown”, una sorta di ping pong che si gioca uno contro uno. Si pratica bendanti perché ipovedenti e ciechi devono essere sullo stesso piano. E’ una disciplina che si pratica a livello mondiale, e che presto diventerà paralimpica. Io ho partecipato anche ai mondiali. In passato ho praticato il calcio a cinque per non vedenti (che è paralimpico).

D: Il libro che la rappresenta?

R: “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry. Colgo l’occasione per parlare del mezzo che io uso per leggere: si chiama “video ingranditore”, ed è una sorta di tablet che ingrandisce i caratteri fino a 32 volte.

D: La canzone?

R: “Partirò” di Bocelli.

D: Il Film?

R: Adoro quelli di Alberto Sordi e Totò, sempre attuali anche se datati.

D: Fra cent’anni cosa vorrebbe fosse scritto sulla sua lapide?

R: Mi basterebbe un loghetto dell’Unione Ciechi.

D: La domanda che non le ho fatto?

R: Vorrei parlare delle attività che svolgiamo nelle scuole. Sono un po’ il nostro fiore all’occhiello. Facciamo dei laboratori che chiamiamo “Insoliti Puntini”, nel corso dei quali insegniamo il braille ai ragazzini. E devo dire che nel corso di una mattinata già riescono a leggere e a scrivere. Soprattutto, c’è poi uno scambio coi bambini sulla nostra realtà, perché alcuni di loro non sono mai venuti a contatto con un non vedente. Ci fanno molte domande, e noi speriamo che con le nostre risposte qualcosa a loro resti.