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di Walter De Stradis

 

In questi giorni di emergenza e di frenetica consultazione di tv, social e giornali, sono diversi i volti (alcuni più “rassicuranti” di altri magari) che si stanno marchiando nell’immaginario locale: politici, direttori, burocrati, esperti, mezzibusti, inviati, nonché quelli delle persone impegnate a vario titolo in prima linea nella lotta contro il virus.

Pino Brindisi è il responsabile della Protezione Civile del Comune di Potenza. Uno di quelli, praticamente, che è mani e piedi in trincea.

(L'intervista è stata realizzata lunedì scorso)

D: Facciamo un po’ di chiarezza sull’organizzazione e sull’articolazione della Protezione civile, che pare essere multiforme.

R: In effetti c’è un po’ di confusione a riguardo. Io rappresento e sono il responsabile dell’unità operativa di Protezione civile del comune Capoluogo, dunque sono la parte istituzionale. Insieme a me, poi, c’è anche la parte regionale e, dunque, il dipartimento nazionale. Io sono il responsabile in virtù di una delega del sindaco, che è la prima figura quando si parla di Protezione civile.

Io attivo una serie di funzioni e, tra quelle note, che tutti vedono, c’è il volontariato (ma ci sono anche le forze dell’ordine, la polizia locale, la parte sanitaria e, in questo caso, anche i servizi sociali e l’assistenza alla popolazione).

Molte volte ci si confonde proprio in presenza del volontariato, ovvero delle diverse associazioni di protezione civile, ma questa è solo una delle componenti, delle quattordici funzioni –come fossero “uffici”- che io stesso coordino nel complesso.

D: Nell’ottica dell’emergenza sanitaria, come sono inquadrate le vostre funzioni?

R: In questa emergenza a carattere nazionale la Protezione civile funge da supporto e coordinamento alla sanità. Ciò significa che non possiamo assolutamente sostituirci al ruolo dei sanitari, ad esempio nell’effettuazione dei tamponi, tuttavia svolgiamo allo stesso tempo delle attività importanti quali l’accompagnamento dei “quarantenati”, l’assistenza costante ai positivi, il supporto ai pazienti dimessi dall’ospedale e tutte le altre funzioni fondamentali. L’allestimento e il montaggio del tanto discusso ospedale da campo, ad esempio, è uno dei compiti che spetta proprio alla Protezione civile.

D: Diamo un po’ di numeri. Quante persone al momento sono attive nella città di Potenza?

R: Noi abbiamo dodici associazioni riconosciute “di Protezione civile”. Siamo in presenza, quindi, di gente adeguatamente formata: centinaia di volontari che si alternano in turni, sia di mattina sia di pomeriggio, tutti i giorni, compresi i festivi, anzi le dico di più, noi abbiamo lavorato regolarmente anche il giorno di Pasqua, specialmente per la distribuzione dei pasti e delle medicine.

Durante la prima fase, invece, ci siamo dedicati principalmente al controllo delle persone che rientravano in Basilicata. All’inizio ce ne siamo occupati da soli, mentre in un secondo momento siamo stati supportati dalla presenza delle forze dell’ordine. Un momento davvero difficile e rischioso.

D: Secondo lei, il rientro in Basilicata dalle regioni del Nord da parte di giovani e meno giovani si può considerare più un atto di ignoranza, di incoscienza o di semplice mancanza di senso civico?

R: Non riesco a dimenticare le immagini delle persone in fuga dalla stazione di Milano, all’indomani del decreto di Conte che istituiva la “zona rossa” in Lombardia. Sicuramente lo posso definire un atto incosciente, tuttavia credo che dietro ci sia stata anche la paura di non poter rientrare a casa. È stato un momento molto difficile che, per di più, ha visto la presenza di due o tre ondate di rientro, e gli ultimi sono stati quelli dei paesi che, guarda caso, hanno portato a qualche difficoltà, specialmente nelle località più piccole.

D: Ci sono stati dei casi di positività al virus tra i membri della protezione civile?

R: Grazie a Dio, no. Operiamo costantemente con guanti, tute e mascherine. Noi abbiamo assistito, e lo facciamo tuttora, delle persone positive al virus portando loro viveri e medicinali.

D: Quante ore lavora al giorno?

R: Non meno di quattordici ore, siamo in giro anche la notte, anzi il mio telefono squilla principalmente di notte. Questa mattina (lunedì scorso per chi legge, ndr) abbiamo fatto un briefing con tutte le associazioni anche perché, devo ammetterlo, c’è un po’ di stanchezza, in fondo è dal 7 di marzo scorso che stiamo in giro full-time tutti i giorni, quindi non è proprio semplice. Dopo questa settimana, tuttavia, grazie anche ai buoni spesa credo che potrebbe attenuarsi un po’ questa situazione.

D: La gente che vi contatta cosa vi chiede nello specifico?

R: All’inizio ci siamo occupati della spesa e dei farmaci per le persone in quarantena. Al momento portiamo da mangiare e assistiamo circa trecento persone, che non sono certo poche. Insieme a noi ci sono diverse associazioni come “Io Potentino” e la Caritas, ma molto dobbiamo a coloro che ci hanno donato del cibo.

D:...Queste donazioni da dove provengono?

R: Semplicemente da privati. Insieme all’associazione Io Potentino abbiamo rivolto un accorato appello ai cittadini, e mi riferisco all’iniziativa della cosiddetta “spesa sospesa”, che ci consente di coprire le varie esigenze dei concittadini in difficoltà.

D: Mi racconta un episodio che l’ha colpita particolarmente, entrando nelle case delle persone?

R: Mi hanno colpito particolarmente alcune telefonate, anche perché il mio numero di telefono oramai è divenuto accessibile a tutti. Il ricordo più bello per me è il ringraziamento da parte di persone che, prima dell’emergenza, non conoscevo. Pensi che, al rientro di alcuni volontari da una campagna, mi sono state consegnate delle uova, come segno di ringraziamento da parte di una famiglia con la quale avevo parlato al telefono.

L’ultima telefonata che ho ricevuto, e che le voglio raccontare, è quella di un medico della Cardiochirurgia del San Carlo contagiato dal Coronavirus, che mi ha chiamato alle sette del mattino per raccontarmi che l’esito del suo terzo tampone era negativo. Prima dell’emergenza non ci conoscevamo, mentre ora siamo diventati “amici telefonici”, tanto è vero che quando mi ha contattato mi ha detto: «Sei la prima persona alla quale lo dico. Sono uscito da un incubo, mi hai tenuto quaranta giorni come se fossi un figlio».

D: C’è stato invece un momento in cui lo sconforto ha preso il sopravvento?

R: Fino a dieci giorni fa eravamo immersi nel buio, uscivamo al mattino e rientravamo a notte fonda, come delle macchine, ma senza capire neanche cosa stesse succedendo. Non si vedeva un barlume di luce da nessuna parte.

D: E quando sono morti alcuni personaggi noti in città, a proposito dei quali c’erano state delle vere e proprie denunce sui social e sulla stampa per il ritardo nella somministrazione dei tamponi…

R: Antonio e Donato erano amici… ci siamo passati anche noi, avendo dovuto attendere cinque giorni per l’esito dei nostri tamponi. Purtroppo il problema c’è stato, ma ha riguardato l’intero panorama nazionale, coinvolgendo l’intera Regione.

D: Quali sono le criticità che percepite maggiormente in questi giorni?

R: La mancanza di un sussidio economico alle persone. La gente non lavora ormai da due mesi, dunque stiamo assistendo con dei pasti anche persone che, prima della crisi, avevano una loro attività e che certo non ne avevano bisogno.

Bisognerebbe poi partire con un controllo a tappeto, ossia con tamponi a lettura rapida, per le forze dell’ordine, i volontari, per gli ospiti e gli operatori delle case di cura, ma anche se su questo, nonostante le tante richieste, non c’è ancora una risposta concreta. Si faranno…

Ci ha salvato il fatto di essere una regione isolata, altrimenti da noi ci sarebbe stata un’altra Lombardia.

D: Tra i vostri compiti, c’è anche la distribuzione delle mascherine, anche se a riguardo ci sono state diverse segnalazioni. Il numero di riferimento per farne richiesta è 0971415771? Perché oggi ho chiamato e risulta staccato...

R: In realtà il telefono, anzi uno dei numeri, non è staccato, ma passa attraverso il centralino generale, pertanto o risulta occupato o è come se fosse staccato: è un problema che abbiamo segnalato, ma il numero delle chiamate è esorbitante. In realtà i volontari sono presenti sia la mattina sia il pomeriggio. Riceviamo centinaia di richieste di mascherine non solo via mail, ma anche a un altro numero della Protezione civile, lo 0971415833, che poi è quello della sala radio operativa, ove vengono raccolte tutte le altre richieste.

Disponiamo, inoltre, di un ulteriore numero di telefono tramite il quale raccogliamo delle richieste per la consegna di cibo e medicinali.

Consideri che, ad oggi, abbiamo consegnato circa trentamila mascherine, e non solo a Potenza, ma anche in altre realtà, come il carcere di Matera e di Melfi.

La quantità delle telefonate, alle quali rispondiamo, varia dalle 340 alle 370 al giorno. Ci sono due ragazzi fissi che si occupano solo di questo, più altri che si dedicano alla distribuzione delle mascherine casa per casa: le lasciano nella cassetta della posta, per essere precisi.

D: Ma bastano per tutti le mascherine?

R: Ne stiamo consegnando due o tre per nucleo familiare (anche qualcosina in più in presenza di più persone), e secondo i calcoli parliamo della quasi totalità della famiglie; poi ci sono le persone che vengono a ritirarle personalmente alla sede comunale di via Nazario Sauro, anche perché disponiamo di un database completo di ogni informazione.

Buona parte delle mascherine che stiamo distribuendo alla popolazione proviene da donazioni effettuate dai medici dentisti; poi, in un certo momento, sono addirittura diventato il capo di una “sartoria” di una parrocchia della città che ha lavato, stirato e confezionato migliaia di mascherine che poi sono state distribuite ai cittadini. Le ultime ci sono state donate dal Rotary e sono dei presidi medici, pertanto le abbiamo donate direttamente all’ospedale San Carlo, a quello di Melfi e anche a quello di Matera. Altre ventimila mascherine, inoltre, ci sono state donate dalla ditta Catapano e le stiamo distribuendo alle forze dell’ordine, noi ci siamo tenuti solo una minima parte.

D: Se lei potesse prendere sotto braccio il governatore lucano, cosa gli direbbe?

R: La cosa mi imbarazza un po’, anche perché con lui collaboro nel contesto dell’unità di crisi. La richiesta di un commissario per l’emergenza, più reattivo sul territorio, sarebbe stata l’ideale. Noi lavoriamo in emergenza, quindi andiamo avanti e basta, però il problema della sanità andava affrontato più energicamente, specialmente in termini di sveltezza delle procedure. Ad esempio, non mi spiego perché i tamponi non sono stati eseguiti per tutte quelle persone di un nucleo familiare in cui vi era un positivo: un Commissario avrebbe agito subito, soffocando questa polemica sul nascere. Non faccio a Bardi alcuna colpa, anche perché ha proceduto in base alle norme e facendo affidamento su quello che lo Stato dà, ma credo che un commissario straordinario avrebbe potuto agire diversamente e avere maggiore facilità nelle decisioni.

D: La Basilicata è in pole position per l’avvio della Fase 2. Come cambierà il vostro lavoro?

R: Conto che con i primi del mese di maggio questa situazione possa diminuire, anche perché non possiamo operare sempre in emergenza. Le amministrazioni si dovranno mettere a lavoro per riprendere le normali attività, grazie anche al rientro degli impiegati.

D: Se lei potesse portare una canzone nelle case delle persone che ha assistito e che assisterà, quale sarebbe?

R: Porterei con me la canzone “I am easy”, di un Cat Stevens d’altri tempi, anche perché è di una dolcezza unica.