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di Walter De Stradis

 

Usa spesso il termine “grido” per riferirsi alla voce dei giovani (e non) lucani che lui cerca di incanalare nelle parole, suoni e ritmi della sua musica, che finora è stata, parole sue, “mediterranea”. Con il suo gruppo, Officine Popolari Lucane, Pietro Cirillo, nativo di Tricarico, è uno degli artisti più seguiti in regione (protagonista, tra le altre cose, anche dello spot ufficiale di Matera 2019), ma è anche un educatore che lavora sulle dipendenze (alcol e droga) e vanta un passato da assessore alla Cultura nel suo paese d’origine.

D: Come giustifica la sua esistenza?

R: Nella mia vita nulla accade per caso, ma in base ai percorsi e alle persone che scelgo. Per quanto attiene alla mia attività principale, la musica, devo la mia strada al mio paese, Tricarico, che è una grande forza, una continua fonte di acqua fresca.

D: Cosa l’ha spinta, definitivamente, a far musica popolare in una regione come la Basilicata? Qual è stato il momento decisivo?

R: C’è stato quando il mio produttore romano, Paolo Dossena, ha incominciato a insistere perché continuassi, anche sulla scorta della risposta positiva del pubblico, soprattutto i giovani. Avevo iniziato perché a Tricarico farsi un gruppo proprio è come un battesimo. La maggioranza della popolazione “passa” dalla musica. C’è chi lo fa solo a Carnevale, come adesso, chi durante la raccolta delle olive (canticchiando delle canzoni) e chi, come noi, lo fa a livello professionale.

D: Tricarico, con tutta probabilità, è il comune lucano con la più alta densità di artisti e band di musica popolare.

R: Esatto, attualmente ce ne sono sette/otto. Per quanto mi riguarda, la mia inclinazione la devo a mio padre, che da amatore ha sempre suonato la fisarmonica, e che fino ai 14 o 15 anni, prima che incontrassi Antonio Infantino, mi aveva motivato sulla strada della musica, portandomi alle serenate e così via. A lui devo moltissimo. Poi sono cresciuto con le canzoni di Antonio Infantino (col quale ho collaborato per dieci anni) e di Eugenio Bennato.

D: Tricarico, ricco di musicisti e di intellettuali, è anche però una polveriera. O no?

R: E’ così. Noi Tricaricesi nell’ambito culturale e musicale siamo gelosi e ci sentiamo tutti un po’ padroni. E non va bene, perché, come dice il maestro Enzo Avitabile, la musica non dev’essere competizione, bensì condivisione. Sono felice che nel mio paese ci sia questo vivaio di gruppi musicali, ma se c’è talento lo deve stabilire la gente. Non ci si deve mettere in cattedra.

D: Diceva di avere un seguito particolare tra i giovani.

R: Probabilmente è dovuto alla sensibilità maturata col mio altro lavoro. Da anni mi occupo di gruppi di auto-aiuto, fra alcolismo e tossicodipendenza (sono laureato in Scienze dell’Educazione, con specialistica in Psico-Pedagogia). Questo lavoro negli anni mi ha cambiato: ho visto persone morire, e lavoro con gente che ha perso tutto. Si tratta di persone che hanno bisogno di ritrovare il senso della vita, e nei mei laboratori musicali vedo uomini e donne ritrovare le risposte che non avevano più dal lavoro, dalla famiglia, dalla società. La musica per loro è sempre una porta aperta, una mano fedele con non ti lascia. Imparando a suonare uno strumento, come il cupa-cupa o la chitarra, queste persone ritrovano la fiducia in loro stessi e un rinnovato amore per la vita.

D: I paesi come Tricarico condividono con il resto della regione questa immagine di spopolamento, di giovani disoccupati che passano le loro giornate nei bar, di vane speranze riposte nel politico di turno.

R: Di tutto questo io non do la colpa solo alla politica, perché porto il mio, di esempio: io ho voluto costruire il mio progetto musicale partendo da ciò che la terra mi offriva. E questo comporta anche l’essere sceso a compromessi col mio paese, facendo vivere i miei figli in un posto che amo, ma in cui c’è carenza di strutture, come le scuole o più banalmente il cinema. Tuttavia, anche se con la testa sono in giro per il mondo, quando io scrivo canzoni respiro il mio paese. Quando parlo con i miei amici che passano le giornate nel bar o se ne vanno via, mi accorgo che mancano idee chiare e accade perché non credono nelle loro capacità, quando bisognerebbe ritornare all’artigianato, all’agricoltura. Bisognerebbe andare alla Regione a presentare progetti, progetti, progetti, e alzare la voce.

D: Lei al suo paese è stato anche assessore alla Cultura, quindi ha fatto politica. In Basilicata c’è più rassegnazione o più malcostume (raccomandazioni, illegalità etc)?

R: Il lavoro nei nostri paesi non c’è, parliamoci chiaro. Per vedere una fabbrica dobbiamo venire a Potenza, a Macchia di Ferrandina è tutto chiuso, o quasi, nel Metapontino non ne parliamo. Ma andare via non è detto che sia la soluzione. Ripeto: occorre presentare continuamente progetti -di sviluppo e valorizzazione del territorio- a chi ci governa. Ci sono i fondi europei, che mi risulta che a volte tornino indietro.

D: E lei che progetto proporrebbe?

R: Partirei da ciò che la terra offre: cultura, agricoltura, tradizione.

D: Matera 2019, ora che è passata, è come se non ci fosse mai stata?

R: Un evento isolato, nel quale ogni paese ha difeso i propri interessi come ha potuto, senza riuscire a creare una rete, un Distretto Turistico Locale, per i visitatori. Ha prevalso ancora una volta la non-collaborazione.

D: Lei diceva di ripartire da cultura e tradizione. La Basilicata offre un ventaglio di tradizioni musicali senza pari: è possibile ripetere qui da noi un fenomeno, turistico e culturale, della portata della Notte della Taranta?

R: La vedo dura. Come le accennavo, si può crescere tutti insieme solo se c’è studio, dolore, pazienza, cooperazione, ascolto ed educazione: vedo in giro troppa presunzione e troppa autoreferenzialità. Per me la realtà musicale lucana non è pronta: non metto in dubbio la preparazione, bensì la predisposizione d’animo verso la terra madre, la cultura popolare. Io adesso sto lavorando a un progetto imminente, particolare, e ci ho messo vent’anni per arrivarci, semplicemente perché non mi sentivo pronto come ora: per questo motivo, Officine Popolari Lucane si era sempre contraddistinto per i suoni mediterranei, più che tricaricesi. Per suonare un cupa-cupa, un’arpa o un organetto su un palco, tu devi avere rispetto. Su quegli strumenti c’è infatti gente che è nata, che ha pianto, che ha lavorato, che è morta.

D: Nel suo ultimo album, “Sangue Lucano”, del 2019, ci sono canzoni dedicate al mondo femminile nostrano.

R: In “Fuoco di Taranta” canto di queste ragazze che vedo “esplodere” ai concerti, quando nel quotidiano sono invece costrette a reprimere questa vitalità. Nei racconti che loro stesse mi fanno ci sono vite difficili: precariato, mancanza di realizzazione ed emancipazione, in particolare nel lavoro.

D: E poi c’è “Vento di Elisa”, dedicata a Elisa Claps…

R: …l’idea mi è venuta una notte che mia figlia non riusciva a dormire, quando mi misi a guardare uno speciale di Rai 5, diverso dal solito, dedicato al caso. La storia di Elisa è il risultato di una vicenda di silenzi e di verità nascoste. Quello di Gildo e Mamma Filomena è infatti un grido del silenzio: in questa terra esistono realtà che non conosciamo.

D: “Con le mani al sole” è invece dedicata a un ragazzo di Avigliano che morì di overdose. La tossicodipendenza è una realtà che spesso vogliamo credere si trovi solo altrove.

R: Lavorare in quest’ambito significa lavorare con le utopie: da operatore ed educatore le dico che ci mancano proprio gli strumenti. Ancora non si riesce a capire i motivi del fenomeno o le soluzioni, e i servizi sono scarsi. In Basilicata siamo carenti a livello di aiuti, ecco perché credo molto nei laboratori musicali.

D: La politica per lei è stata solo una parentesi?

R: Sì, perché in politica non ci si può improvvisare. Mi è rimasto, però, il ricordo del viavai di gente in Comune, di tante famiglie, per chiedere aiuto. Nei paesi la situazione è veramente drammatica. Per citare Ulderico Pesce, noi artisti in primis ci troviamo in fila a una “mensa dei poveri”, aspettando il politico che ci porta il piattino di lenticchie col cachet.

D: E’ possibile fare musica in Basilicata senza l’aiuto della politica?

R: Assolutamente no. Ma abbiamo anche visto, però, gruppi ricevere lauti contributi, investiti e auto-investiti del titolo di “portatori della tradizione”. Selezionati come? Chi decide? A me non è mai passato per la testa di dire “IO SONO la tradizione”. E’ questo egocentrismo, questo sentirsi arrivati, padroni, che rovina la scena musicale lucana. E, poi, una volta per tutte: smettiamo di considerare la musica popolare come un porto sicuro per chi non sa più dove andare a parare: questa musica bisogna studiarla e sentirla dentro. Bisogna passare da questi paesi, da questi odori, da queste teste.    

D: Se potesse prendere il presidente Bardi sottobraccio cosa gli direbbe?

R: Di prendersi un anno per girarsi tutti i paesi della Basilicata, lui e il suo staff, e viverci un paio di giorni. E’ nei paesi il vero dramma. Ci sono comuni con 500 abitanti, contrade, villaggi, abbandonati a loro stessi. A Taccone, vicino Irsina, c’è il grido di questa mia amica, Maria Luigia, il grido dell’unica famiglia, lasciata da sola. I bambini hanno diritto alla scolarizzazione!

D: Il libro che la rappresenta?

R: "L'Alchimista" di Paolo Coelho. Bisogna ascoltare il proprio cuore e inseguire sempre i propri sogni, a tutti i costi. Tutti noi siamo destinati a compiere un viaggio.

D: Il film?

R: "Non è mai troppo tardi", con Jack Nicholson e Morgan Freeman. La storia di due malati terminali che, a dispetto delle differenze sociali, sono accomunati dal desiderio di sfruttare appieno ogni istante che gli resta.

D: La canzone?

R: “Piazza del Sud” di Antonio Infantino, una delle sue più belle. Parla proprio di noi, di chi ha il coraggio di esistere e resistere nella propria terra, in piazza, a guardare gli anziani che passeggiano, come se fossero di un altro mondo e di un altro tempo. I vicoli che muoiono, queste botteghe che chiudono, i paesi che scompaiono lentamente: ho una grande rabbia per tutto questo.

D: Fra cent’anni cosa vorrebbe fosse scritto sulla sua lapide?

R: I versi di una mia canzone: «…come il sole dietro la montagna, esce sempre per tutti quanti».