rina-destradis.jpg

 

di Walter De Stradis

 

Profilo aquilino, ciuffo bianco e occhi chiari e vispi, il giornalista politico di La7 Franco Rina (lucano di Nova Siri) è il direttore e ideatore di “Cinemadamare”, un festival itinerante, il più grande raduno di giovani filmaker del mondo, che ogni anno da luglio a settembre attraversa molte regioni italiane fermandosi in piccoli paesi o città più grandi per arrivare fino a Venezia in occasione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Il viaggio consente ai ragazzi di conoscere realtà diverse del territorio italiano e garantisce ai comuni che ospitano il festival eventi per tutta la durata del suo soggiorno. Ogni sera si proiettano nelle principali piazze film e lungometraggi gratuitamente per il pubblico presente. Trecento partecipanti vengono ogni anno da più di sessantacinque Paesi del mondo e lavorano fianco a fianco durante ogni fase della produzione di un film: ideazione degli script, location scouting, riprese e montaggio.

La Fase Lucana del XVIIa edizione è partita dalla splendida cornice di Sant’Angelo Le Fratte, in provincia di Potenza..

 

Come giustifica la sua esistenza?

 

Con un’unica pratica quotidiana: imparare e sapere il più possibile. Non c’è nessun’altra attività umana che mi procuri più godimento del sapere stesso, della lettura e dello studio costante. La mia passione più grande è la storia dell’arte, ed è proprio questa disciplina che mi ha condotto al cinema. Come giornalista mi sono sempre e solo occupato di politica, il cinema è una passione -ovvero senza l’assillo del guadagno- che è diventata una competenza. Cinemdamare è infatti un’associazione culturale di cui io sono il legale rappresentante a titolo gratuito.

 

Qual è, dunque, il film che l’ha fulminata lungo la via di Damasco?

 

Be’, sono due: “Il settimo sigillo” di Bergman e “Ladri di biciclette” di De Sica. Si tratta di capolavori che ho studiato a lungo e dei quali ho discusso con gli addetti ai lavori, ma non finiscono mai di stupirmi. Ne aggiungerei solamente un altro, ma solo per questioni autobiografiche, ossia “Otto e mezzo” di Fellini che io reputo come una vera e propria “miniera”.

 

Lei è stato per due anni il presidente della Lucana Film Commission. Sin da allora ci sono molte polemiche a riguardo, addirittura anche interrogazioni da parte di consiglieri regionali, circa la sua effettiva utilità.

 

Ne posso solo parlare con molta prudenza, anche perché ne sono stato presidente e fondatore. Io ritengo che tutte le Film Commission debbano TORNARE a un’unica matrice, anche perché hanno UN UNICO compito. Sono nate negli ambienti anglosassoni, se non ricordo male proprio in Australia, come potenziamento dell’industria cinematografica. Non altro. Le Film Commission devono occuparsi di promuovere il territorio affinché le industrie vadano a realizzare lì le loro opere. Grazie al cielo, la Film Commission non eroga tutti i soldi per la realizzazione di un film, anche perché non li avrebbe, ma solo una quota parte e solo a quelle società di produzione che sono già riuscite ad intercettare la restante parte. Quando arriva un richiedente, di solito dispone già dell’80% dei fondi, pertanto alla Film Commission non spetta un giudizio di valore, basta far spendere quei soldi sul territorio regionale. Tutte le altre attività che si allontanano da questo presupposto fondamentale devono necessariamente essere svolte dall’Assessorato alla Cultura, NON dalla Film Commission.

 

…perché tutti questi “NON”?

 

Perché a mio parere ci sono state troppe eccezioni. Le Film Commission devono dare soldi ai festival e non a un documentario sul pino loricato che, invece, andrebbe premiato come attività culturale, perciò è necessario che gli si dia il 100% del contributo, ma spetta esclusivamente all’assessorato alla cultura. Soltanto un organo politico può decidere, ad esempio, se è più importante rappresentare il pino loricato o la lavanda che nasce spontanea sulle spiagge di Metaponto, non la Film Commission, anche perché non è un organo politico e non fa scelte. Se, invece, si concedono dei soldi per un prodotto già accettato dal mercato certo non si commettono errori. Il compito della Film Commission non è neanche quello di creare delle figure professionali, aziende e industrie (tutt’al più può svolgere un ruolo di consulenza), perché spetta all’assessorato alla formazione, e non è nemmeno un organo dipendente dalla Regione che ne è semplicemente socia di maggioranza, anche se la fondazione è una figura giuridica a sé. Parliamo di un organo che non ha neanche tutta questa capacità amministrativa, con circa un milione e mezzo di euro di bilancio; quindi voglio rispondere precisamente, ma anche indirettamente perché non sono la persona più adatta a fare le pulci alla Film Commission. Vi sono stato dentro, ma ne sono anche uscito spontaneamente, dunque richiamo tutti a tornare allo spirito originario.

 

Quando ne uscì, nel 2014, dichiarò che sentiva che la Film Commission aveva esaurito la sua fase di avviamento.

 

Il 7 gennaio del 2014 incontrai Pittella e gli dichiarai la volontà di rimettere il mandato, conservando comunque un rapporto amichevole con il governo regionale. Furono dimissioni con il sorriso, una cosa rara, devo dire. Mi sostituirono dopo sei mesi, dopo aver assolto al mio compito con un bando per il direttore e con un altro per le produzioni per un totale di un milione e seicentomila euro, utilizzando i fondi europei. Grazie agli uffici regionali e alla dottoressa Minardi quei fondi furono addirittura raddoppiati. Ma un altro bando del genere non è stato più fatto! Ecco, il compito delle Film Commission, dunque, è quello di trovare i soldi per rimpinguare i bandi e farli.

 

Qual è il suo rapporto con il direttore Leporace?

 

Siamo colleghi, innanzitutto. Lui ha avuto il buon gusto di non consultarmi più, anche perché sono stato io ad andarmene con il sorriso e senza polemiche. In fondo non ho rinunciato a nulla, anche perché non prendevo soldi.

 

Veniamo, dunque, a Cinemadamare. A Sant’Angelo le Fratte c’è stata la prima tappa in Basilicata.

Cinemadamare è il mondo come io vorrei che fosse, una grande famiglia che, in diciassette anni, è riuscita a calamitare intorno a sé circa quattordicimila associati. Non c’è paese del mondo in cui non abbiamo conosciuto di persona qualcuno, dormito, mangiato e lavorato. È nata nel 2003 e solo in quel momento poteva venire alla luce, anche perché vive nel web e senza di esso non potrebbe esistere, poiché noi contattiamo tutti i ragazzi sparsi per il mondo attraverso i social e le mailing list. È l’incarnazione di tutti i quei concetti di cui oggi parliamo, ma che, al contempo, sono difficili da realizzare. Noi, invece, lo facciamo ogni giorno, anche perché la globalizzazione, la condivisione, la co-produzione del cinema e il superamento di tanti corpi intermedi nell’ambiente ci consentono di puntare a una figura unica di film-maker. Ecco, io mi occupo proprio del film-maker fino a quando non riesce a compiere il suo ingresso nel mondo del lavoro, fungendo anche da agenzia di informazione in presenza di quesiti di tipo pratico.

 

Cinemadamare riceve forme di finanziamento?

 

La partecipazione dei ragazzi è assolutamente gratuita, mentre noi siamo supportati dal Governo nazionale e sostenuti da Cinecittà, da Rai Cinema, dal Centro Sperimentale e dal resto dell’establishment del cinema, oltre che da tutte le regioni e i comuni nei quali svolgiamo i nostri incontri.

 

Parliamo di un'altra polemica: spesso nei film che si vengono a girare in Basilicata si propone un’immagine un po’ troppo stereotipata e antiquata della nostra regione. L’esempio più evidente, a mio avviso, è quello di “Basilicata coast to coast” di Papaleo.

Ha forse parlato con qualcuno? Mi vuole provocare? (Ride, ndr) Io penso che “Basilicata coast to coast” sia stata una grande ed efficace operazione commerciale, ma che sia stata assolutamente disastrosa per l’immagine della regione, perché ha alimentato degli stereotipi che non corrispondono alla realtà dei fatti. Io rifuggo da qualsiasi aspetto folkloristico, anche perché dove le tradizioni sono ancora vive conservano una certa dignità e Sant’Angelo le Fratte ne è l’esempio. Purtroppo anche oggi il cinema in Basilicata viene vissuto come se fosse una montagna di luoghi comuni. La Film Commission dovrebbe agire a riguardo, anzi De Filippo ci offrì proprio degli input nel tentativo di ribaltare l’immagine della Basilicata offerta fin lì. Le problematiche della Regione sono assolutamente moderne, seppur calate in un contesto naturalistico, e abbiamo una società al passo coi tempi, con tutte le professionalità e le tecnologie. Non vedo, dunque, il motivo di mostrare a tutti i costi le galline! E’ sciocco e controproducente. Così ci autocondanniamo.

 

Lei è prima di tutto un giornalista che si occupa di politica. Se dovesse pensare al titolo di un film per descrivere la situazione lucana (o italiana), quale sarebbe?

 

Un film di passaggio, di crisi e di disorientamento. Mi viene in mente “Todo Modo”, di Elio Petri, ma con una precisazione: non è solo la classe politica che va al suicidio, bensì l’intera società che sembra votata a un “cupio dissolvi” .

 

Quale politico lucano ha una faccia da attore?

 

De Filippo è un po’ alla Dustin Hoffman da giovane, ma anche Pittella è un grande istrione, quindi credo che sia lui il candidato ideale, lo vedo come un attore di cinema, mentre De Filippo è più da teatro.

 

Che film farebbe fare a Pittella?

 

Da giovane avrebbe potuto interpretare “Il Sorpasso”, nel ruolo che fu di Gassman.

 

Però il “sorpassato” è stato proprio Pittella.

 

(Ride) Sì, ma se ben ricorda, il personaggio di Gassman alla fine è quello che sopravvive.

 

Dicevamo che Cinemandamare come prima tappa lucana ha scelto Sant’Angelo le Fratte.

 

C’ero già stato due anni fa ed ero sicuro che era la meta giusta per i nostri giovani film-maker, che sono rimasti strabiliati dalla bellezza del luogo, senza contare il rapporto con la gente che li porta addirittura a mangiare nelle cantine o nelle loro case.

 

Il film che la rappresenta?

 

Sempre “Otto e mezzo”, un vero film sull’uomo. È un film sulla cultura italiana che andrebbe studiato, anche perché ogni volta che lo vedo scopro un dettaglio diverso.

 

La canzone?

 

“I giardini di marzo” di Battisti, perché mi ricorda l’importanza della libertà.

 

Il libro?

 

“Nessuno scrive al colonnello” di Márquez è stata la mia prima lettura appassionata, mentre il libro della maturità è senza dubbio “I fratelli Karamazov” di Dostoevskij.

 

Tra cent’anni, cosa vorrebbe fosse scritto nei “titoli di coda” del film della sua vita?

 

Ho creduto fortemente nelle mie idee, ma non dal punto di vista ideologico, solo nei progetti. Se c’è una cosa di cui sono orgoglioso è l’essermi reso assolutamente indifferente ai soldi.