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di Rosa Santarsiero

 

Capita raramente che un artista apra le porte del suo studio e della sua casa per mostrare parte dei suoi primi lavori, di quelli un po’ più attuali e, addirittura, alcune opere inedite.

Michele Cancro, noto pittore contemporaneo lucano, nativo di Sant’Angelo le Fratte, ci ha accolti nella sua casa potentina che -come lui stesso ci ha confessato nel corso di un’interessante intervista- custodisce solamente una piccola parte della sua sconfinata collezione privata.

Maestro, come è nato il suo rapporto con il mondo dell’arte e della pittura?

 

In realtà sono stato un professore di chimica e ho insegnato in diversi istituti della città, dapprima alle scuole medie, poi presso il Liceo Pasolini e l’I.T.I.S. Einstein di Potenza. Il mio rapporto con il mondo dell’arte è iniziato fin dagli anni delle scuole elementari, anzi ricordo che il mio maestro creò un vero e proprio schedario con i miei disegni. La stessa cosa avvenne quando da Potenza mi spostai a Salerno per proseguire gli studi alla scuola media. Uno dei miei docenti era tra i capofila della pittura salernitana. È proprio grazie ai maestri che ho incontrato lungo il mio pecorso formativo che ho scoperto questa mia innata propensione. Non sono d’accordo con Bonito Oliva quando dice che artisti si diventa, probabilmente la sua era una provocazione, io sostengo, invece, che artisti si nasce.

Ho avuto, inoltre, un’altra grande fortuna che mi ha consentito di apprezzare e avvicinarmi al mondo dell’arte. Avevo una zia suora a Roma ed ero solito andarla a trovare insieme a mia madre. È grazie a mia zia se ho potuto conoscere il patrimonio artistico della Capitale. Insomma, ero poco più di un ragazzino quando ho visto per la prima volta le opere di Caravaggio, Michelangelo, Bernini e Raffaello.

 

 

Uno degli aspetti più evidenti della sua arte attiene al sublime utilizzo dei colori.

 

Come pittore provengo da una tavolozza impressionista, anche perché sono un estimatore di Monet, Sisley, Pissarro, Renoir. Quando ho avuto l’occasione di visitare i musei che custodiscono le opere degli Impressionisti, confesso di averne fatto delle vere e proprie scorpacciate. In segiuto mi sono specializzato in filosofia estetica, ma la mia preparazione è frutto di uno studio approfondito della vita degli artisti e del loro pensiero. Un pittore completo, o meglio, la formazione di un pittore completo non può essere mutilata da una mancanza di conoscenza e di approfondimento. Un’opera d’arte cos’è se non una coerenza della mente, o più coerenze della mente? Osservare un’opera d’arte significa anche cogliere il mistero che si cela dietro essa, è per questa ragione che l’arte altro non è che un’imitazione acutissima della realtà.

Ciò che conta di più è cercare di non inquinare mai i colori. In pittura, infatti, ogni colore si coniuga con il suo diretto complementare e, a sua volta, il complementare con il suo derivato. Quando vengono a mancare tali accordi, il mio occhio rifiuta il prosieguo della visione.

L’osservazione della realtà le ha consentito di ritrarre praticamente tutti i volti dei suoi compaesani di Sant’Angelo le Fratte che oggi sono custoditi, insieme a molte altre sue opere, all’interno della Pinacoteca del borgo lucano che porta il suo nome. Si tratta di un caso unico al mondo.

Se in qualsiasi ritratto viene a mancare una forma di introspezione psicologica, be’, allora non si è fatto altro che eseguire meccanicamente un disegno. Avverto la necessità di esternare l’interiorità di chi viene ritratto. Nel volto del santangiolese ho cercato di cogliere l’atteggiamento, il portamento, la gestualità e la sacralità della persona. Quando ero ragazzino mi capitava di incontrare per le vie del paese alcune signore anziane, rendendomi conto fin da subito del loro portamento regale e rimanendone profondamente affascinato. I primi ritratti risalgono a quando avevo quindici o sedici anni, gli ultimi sono di qualche giorno fa. Ciò che caratterizza ognuno di quei ritratti è la rapidità di esecuzione, anche perché a me piace catturare un momento e fissarlo su carta.

 

Lei, tra l’altro, ha donato tutte le opere alla Pinacoteca.

 

Ogni opera custodita all’interno della Pinacoteca di Sant’Angelo le Fratte, e sono circa 250, è un mio lavoro. Le ho fatte incorniciare, ho donato l’impaginazione e ho contribuito in prima persona anche all’installazione. Quella è solo una piccola parte, ma se sente mia moglie le dirà che ce ne sono molte di più. Quando mi sono trovato di fronte ad un palazzo antico e a degli spazi restaurati alla perfezione, non me la sono sentito di dire di no. In due anni abbiamo registrato circa ventimila visitatori. Nel corso della mia vita ho organizzato diverse mostre personali, come quella alla galleria di Modena, e ho partecipato a diversi concorsi, ma solo in presenza di giurie di qualità e di estrema competenza.

 

Al momento a cosa sta lavorando?

 

Ho messo a punto una tecnica da chimico-fisico quale sono per poter tradurre cinquanta episodi del Nuovo Testamento, attingendo dalle incisioni di Gustavo Doré. Si tratta di una composizione manuale di livelli, poiché su un acquerello o un pastello, grazie anche ad un mezzo ottico particolare che non le rivelo, sono riuscito ad effettuare una rifrazione parziale o totale di luce.

Devo dire che non sono rigoroso nella realizzazione dei miei lavori, a volte dipingo ad olio, altre vado in giro con la mia macchina fotografica per catturare elementi di realtà o, in altri momenti della giornata, mi piace semplicemente fare delle richerche, ma solo su manuali, anche perché io non uso internet.

Con l’arte contemporanea andiamo incontro a ciò che io definisco dei “liquami detritici”, dunque non ho la smania di partecipare a mostre, specialmente se collettive. La cosa più deprimente, inoltre, è l’assoluta mancanza di pubblico, specialmente in questa città.

In fondo, il pittore è già gratificato dal suo lavoro e dalle sue idee, non ha bisogno d’altro.