funeraliInfantino

Si sono svolti ieri a Tricarico, presso la chiesa di Sant’Antonio da Padova, i funerali del maestro Antonio Infantino.

Sono giunti nel paese lucano anche alcuni artisti di fama nazionale (fra i quali Vinicio Capossela, Luigi Cinque, Andrea Satta, Mimmo Epifani) nonché regionale, per esprimere il loro cordoglio. La comunità si è stretta intorno al suo più illustre concittadino, “una persona di grande spiritualità” secondo il parroco che ha celebrato la funzione nonché “un grande sincretista, che ha trovato la via per il Paradiso attraverso un cammino percorso nelle diverse religioni, non ultime quelle orientali e il misticismo Sufi , al quale si era avvicinato negli ultimi anni della sua vita”. “Lascia un’eredità incommensurabile” – è stato detto- a centinaia di persone di Tricarico ha dato e insegnato tutto, come era nelle corde di un vero maestro, che è colui che non tiene le cose per sé, ma le dona agli altri, disinteressatamente: un uomo di immensa preparazione che ha diffuso il suo sapere in modo sano, e in maniera altrettanto sana ha trasmesso l’amore per le tradizioni ai suoi allievi che a Tricarico, e in tutta Italia, erano tantissimi”. Ad accogliere l’uscita del feretro dalla Chiesa, una formazione di cupa cupa composta da diversi virtuosi, di Tricarico e non. Al suono caratteristico dei tamburi a frizione, si sono registrate lamentazioni funebri improvvisate, fra le quali una in cinese. Notevole anche l’esibizione di alcune ballerine di taranta che hanno danzato davanti al feretro: un ultimo, degno saluto mistico e ancestrale al più grande di tutti.

 

QUI IL VIDEO -  https://www.youtube.com/watch?v=tRBnZjqtxso

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«È come ne “I Sette Samurai”, la storia cambia a seconda di chi la racconta. Cioè, se ne potrebbero fare mille, di film su di me, perché ogni volta ti accorgi che ci sono tanti dettagli nella stessa storia. È come se tu filmassi un albero… si potrebbe fare un film su un albero?!» Quando si registrano perdite di tale portata, si rischia di essere banali, ma la verità conclamata non lo è mai: la Basilicata ha senz’altro perso uno dei suoi artisti più rappresentativi e celebrati nel resto del Paese e nel Mondo. All’età di 74 anni è venuto a mancare nella sua casa di Firenze Antonio Infantino, musicista, scrittore, poeta, filosofo, creatore e teorizzatore di un movimento che – a partire dalle sue ormai mitiche esibizioni al Fokstudio negli anni Sessanta-Settanta e dall’album “I Tarantolati” del 1975 (pubblicato con il Gruppo di Tricarico)- aveva rivoluzionato la musica di derivazione popolare in Italia. E’ opportuno in questa sede ricordare –per chi ha la memoria corta- alcune (solo alcune) delle cose che il maestro ha fatto nella sua vita, in giro per il pianeta. Antonio Infantino era nato il 6 aprile del 1944, ma aveva vissuto fino ai dieci anni a Tricarico (Mt), il paese della sua famiglia, per poi trasferirsi a Potenza e in seguito a Firenze, doveva si era laureato nel 1971 presso la Facoltà di Architettura con 110 e lode, con la tesi “Spazio naturale, spazio artificiale, spazio a N dimensioni”. A partire dal 1967 aveva iniziato a esibirsi –chitarra e voce- al “Nebbia Club” di Milano e al “Folkstudio” di Roma. Nel 1967, oltre a “I denti Cariati e la Patria” un quaderno di poesie, con introduzione di Fernando Pivano, pubblicato da Feltrinelli Editore, uscì anche il primo album in assoluto di Infantino, che era già uno degli esponenti del “Beat” italiano: “Ho la Criniera da leone, perciò attenzione” (Ricordi). Nel 1969, fu la volta di “Ci ragiono e canto 2”, spettacolo col futuro premio Nobel Dario Fo. Iniziò poi una breve, ma epocale serie di dischi: il già citato “I Tarantolati” (Antonio Infantino e il Gruppo di Tricarico. uscito nel 1975 per la Fonit Cetra/Folkstudio), “La Morte Bianca” (Antonio Infantino e il Gruppo di Tricarico, 1976, Fonit Cetra/Folkstudio), “Follie del Divino Spirito Santo” (1977, Antonio Infantino ed i Tarantolati di Tricarico, Fonit Cetra/Folkstudio). Nel 1978 fu poi la volta de “La Tarantola va in Basile”, registrato e mixato allo studio “Vapor” di San Paolo. Nel novembre del 1991, a Bruxelles, il lucano fu insignito del Premio dell’Accademia Reale Belga di Scienze, Letteratura e Belle Arti, per la ricerca storico-fi lologica e il progetto di restauro dello Zuiderpershuis di Anversa. Nel 1996 Infantino presentò al Parlamento Europeo di Bruxelles la mostra dal titolo “Danza Cosmica, suono, colore” e fece uscire, per la prestigiosa Amiata Records, il cd “Tarantella Tarantata”(a cui seguì, nel 2004, il capolavoro elettronico “Tara ‘n Trance” e , nel 2008, il cofanetto “Anthology of Taranta & Tarantella, per la Deja-vu). Nel 2009 Antonio Infantino partecipò nuovamente alla Biennale d’arte di Venezia con l’installazione e performance multimediale: “La danza delle api”. L’ultima apparizione discografica di Infantino era stata nel doppio disco “Canzoni della Cupa”, di Vinicio Capossela, che aveva fortemente voluto accanto a sé, in studio e sul palco, il Maestro di Tricarico, Tuttavia, è davvero inconcepibile che uno come Antonio Infantino –osannato, venerato e copiato da un’infinità di artisti, anche a livello nazionale- sia scomparso senza che nessuno qui in Basilicata, gli abbia affidato un vero ruolo (magari per Matera 2019) , una cattedra o perlomeno una laurea honoris causa all’Unibas, o abbia almeno creato un grande Festival a suo nome. Sia chiaro, lo Sciamano non cercava né onorificenze, né vitalizi, ma questa terra avrebbe dovuto e potuto dargli un maggior numero di segnali concreti. Dopotutto, parliamo di una persona che ha “soltanto” cambiato la musica popolare italiana, che ha incantato Dario Fo, ispirato Vinicio Capossela e fatto gemmare decine di gruppi in Basilicata, anche tutti quelli che non lo citano, ma che si abbeverano a grandi sorsate alla sua fonte. La Basilicata ha perso un visionario, una personalità rivoluzionaria, una mente freschissima che aveva ancora tantissimo da dire e da dare. Un non-allineato che se n’è andato da solo e in silenzio. E il nostro vero e unico Uomo del Rinascimento è venuto a mancare proprio quando c’erano in ballo grossissime novità per lui, a livello discografico e cinematografico. Non ci resta che sperare, almeno (e segnali confortanti stanno arrivando in questa direzione), che la sua musica ora venga ristampata, ripubblicata (perché la maggior parte dei suoi dischi non si trova più), e i suoi testi ristampati, affinchè tutti capiscano e conoscano chi ha DAVVERO creato certi suoni e certe pagine indimenticabili della musica e della cultura lucana e nazionale. In ogni caso, a prescindere da come andrà, e al di là dei commenti e delle “adesioni” postume dettate dalla notizia, forse ci renderemo conto solo in un secondo momento, quale vuoto pneumatico Antonio abbia creato, salendo a Firenze su quell’ultimo treno della notte. Ma una cosa è certa, i suoi ritmi e le sue cantilene dolenti e fortissime continueranno a martellarci nella testa per sempre. In un loop circolare e benefico senza fine. Come voleva lui.